“Vengono fuori gli animali più strani la notte: puttane, sfruttatori, mendicanti, drogati, spacciatori di droga, ladri, scippatori. Un giorno o l’altro verrà un altro diluvio universale e ripulirà le strade una volta per sempre.”
Travis Bickle
Passa attraverso una salvifica via crucis personale questo oggetto cinematografico assai misterioso che porta la firma di uno dei padri della New Hollywood. Un cammino che non è solo quello del protagonista (Ethan Hawke), ma anche dell’autore stesso. First Reformed non è un film semplice, non è un’opera scontata e soprattutto non spunta dal nulla. Non un punto di arrivo, ma certo una tappa lucida, devozionale ed ecologista della filmografia di Paul Schrader.
Toller è un ex cappellano militare ritiratosi dall’esercito e devastato dalla perdita del figlio, che lui stesso aveva incoraggiato ad arruolarsi. La sua vita ruota ora attorno ad una piccola comunità e ai fedeli di una chiesa fondata nel 1767 dai coloni olandesi. Più un luogo turistico che uno spazio spirituale. Tormentato dai fantasmi del passato, dal rapporto con una giovane vedova (Amanda Seyfried) e dal suo conclamato alcolismo, Toller dovrà fare i conti con profonde riflessioni personali che partono dal proprio io e arrivano a misurarsi con le sorti dell’intera umanità.
Schrader partendo dall’espediente epistolare che ruba dal bressoniano Diario di un curato di campagna, usa il voice over per tutta la durata del film con lo scopo di permettere allo spettatore di entrare in ogni pertugio esistenziale del protagonista.
Non è il cancro che lo divora ma l’assoluzione dei peccati ed errori commessi, e le riflessioni soteriologiche che avvicinano la sua inquietudine a quelle di un altro più celebre personaggio nato dalla penna dello stesso Schrader: il Travis (DeNiro) Bickle di Taxi Driver.
Ieri come oggi il cinema di questo inafferrabile ed anarchico autore e regista, passa attraverso le ferree maglie e gli stilemi estetici e nozionistici del trittico che maggiormente lo ha influenzato nel suo percorso e nella sua filmografia, parliamo ovviamente del già citato Robert Bresson, ma anche di Yasujirō Ozu e Carl Theodor Dreyer.
Com’è stato per loro anche il suo cinema è profondamente religioso. Non poteva essere diversamente per chi come Schrader è nato e cresciuto in una comunità rigorosamente calvinista del Michigan e si è visto rifiutare la sceneggiatura di Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo dai produttori per l’approccio eccessivamente spirituale. First Reformed non è da meno.
Nel film si parla di come l’uomo stia distruggendo ciò che Dio ha creato. Della scarsa cura che l’umanità riserva a ciò che sta dentro e fuori il proprio corpo. Da qui la catartica frase del protagonista: “Ogni atto di preservazione è un gesto di creazione”. Nel dire ciò l’autore apre ad un barlume di speranza, in fondo, tra le righe ci sta dicendo che siamo ancora artefici del nostro destino.
Basta solo condurre una vita più morigerata e rispettare la natura. Solo così sarà possibile ritardare il Dies irae (torna Dreyer).“Il giorno d’ira quel giorno, giorno di angoscia e di afflizione, giorno di rovina e di sterminio, giorno di tenebre e di caligine, giorno di nubi e di oscurità”, nelle parole del religioso, scrittore e poeta Tommaso da Celano.
A rendere ancor più francescana (appunto) questa cupa opera di Schrader ci pensa poi la crepuscolare e funerea luce del giovane direttore della fotografia Alexander Dynan (collaboratore del regista anche per il suo precedente e discutibile Cane mangia cane). Se non bastasse infine l’autore comprime il formato della pellicola in un sacrificato e rigoroso aspect ratio 1.37:1.