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Festen: il primo Dogma

“Usando la nuova tecnologia chiunque in qualsiasi momento può lavare via gli ultimi granelli di verità nell’abbraccio mortale della sensazione. Le illusioni sono tutto ciò che il cinema può nascondere dietro di sé.”

La storia di Festen del regista danese Thomas Vinterberg inizia 3 anni prima della sua realizzazione. E’ infatti il 1995 quando l’autore firma insieme al suo collega Lars Von Trier il manifesto programmatico Dogma ’95, al quale aderirono successivamente anche Søren Kragh-Jacobsen e Kristian Levring. Spesso ci si riferisce al movimento come ad un voto di castità, che lascia intendere lo spirito che si respirava nell’austera Copenaghen.

In pratica, stanchi delle derive “cosmetiche” dell’artefatto cinema americano e dell’abuso degli effetti speciali, questi quattro registi, mossi dallo spirito (a loro dire fallimentare) della Nouvelle Vague francese, decisero di appellarsi ad un ambizioso processo di purificazione della settima arte.

Le regole sono semplici, niente ritocchi fotografici, unità spazio temporale, l’esclusivo uso di oggetti di scena, l’assenza di musiche extradiegetiche ed altri paletti, appunto dogmatici, ai quali attenersi al fine di non alterare la realtà e comprimere l’illusione.

Con questo spirito nel 1998 Vinterberg firma la prima pellicola Dogma.

Film disturbante, dall’inaccettabile violenza psicologica. La cronaca impietosa del calvario di un padre di famiglia, reo di passate e sommerse violenze sessuali domestiche nei confronti di due dei suoi quattro figli. In occasione del 60mo compleanno del patriarca, la famiglia Klingenfeldt, magnati dell’acciaio, si riunisce al completo nella loro lussuosa villa. L’atmosfera è tesa poiché poche settimane prima la figlia maggiore Linda si è tolta la vita. Durante la cena Christian, il primogenito, viene invitato a proporre un brindisi. Dalle sue parole si apre questo violento psicodramma che riporterà improvvisamente i riflettori in quel di Copenaghen, a trent’anni esatti dalla morte di Carl Theodor Dreyer. Proprio l’opera del maestro danese ha fortemente influenzato le prime pellicole Dogma, tanto Festen quanto il contemporaneo Idioti di Von Trier. L’indagine senza riserve, senza peli sulla lingua, rigorosi pamphlet cinematografici come La passione di Giovanna d’Arco del 1928 o Dies irae (Vredens Dag) del 1943.

Ma Dogma non si accontenta di guardare indietro per definire il futuro. Soprattutto nelle prime opere si avverte la necessità di trovare un proprio approccio innovativo e una definita collocazione nella storia del cinema recente. Quello che colpisce ancora oggi di Festen, oltre alla violenza narrativa è proprio il linguaggio filmico. L’uso della telecamera a mano e il montaggio ipercinetico riescono a sopperire a qualsiasi necessità, inutilmente estetizzante, di effetti visivi e sonori.

Vinterberg chiude infine la pellicola col poco rassicurante suono di un carillon. Ovviamente un oggetto di scena.