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È stata la mano di Dio – La Recensione

Napoli tra il Sacro e il Profano, tra il culto di Diego Armando e una frase sboccata rivolta ad un ragazzino che sta nel posto sbagliato, nel momento sbagliato, con quella sua “facc ‘e cazz”!

Sempre in bilico tra terra e mare, miseria e nobiltà. “disperatissima” o “felicissima” come diceva il grande scrittore napoletano Raffaele La Capria. Sorrentino cita lui, Eduardo De Filippo, la Napoli antica, colta, ma soprattutto quella iconica, pop 80s, (Maradona, Troisi, Daniele), che più gli appartiene e dalla quale è fuggito per inseguire il suo sogno di fare il regista senza mai “disunirsi” e magari tornare a raccontarla, 20 anni dopo quel gran film che è stato L’uomo in più. Sorrentino lo fa nell’anno della scomparsa di uno dei suoi figli più amati che scandisce a suon di imprese sportive l’intera pellicola.

Un racconto di formazione, coming of age come dicono gli americani, sincero, diretto, meno virtuoso, sicuramente il suo più personale, quello dove si vede l’uomo più del regista, la sottana più dell’abito a sera.

Soprattutto E’ stata la mano di Dio è un atto di fede nella convinzione che l’andare a vedere il Napoli che gioca contro l’Empoli abbia salvato la vita di un ragazzino (Filippo Scotti) , che quella “gran figa della zia Patrizia” (Luisa Ranieri) abbia visto o munaciello che t’arricchisce o ti manda in miseria.

Una carrellata di freaks a volte miserabili, dolorosamente vivi, grotteschi, felliniani, perché anche in un film tanto partenopeo Sorrentino continua, dopo La grande bellezza/La dolce vita e Youth/8 e mezzo, ad omaggiare il maestro.

La storia non ve la raccontiamo, ma si può riassumere in una tardiva lettera d’amore a due genitori e al loro caratteristico fischiettio (Toni Servillo/Teresa Saponangelo). A tal proposito Sorrentino ha detto: “Chissà se, nell’aldilà, è consentito andare al cinema. Così mia madre potrebbe vedere la lettera che le ho scritto, attraverso questo film.”

Un film emozionante, meno elitario, per i più, ma comunque autoriale, suggestivo ed allegorico. Una tappa importante, anche un po’ spiazzante nella filmografia del più rappresentativo regista italiano del nuovo millennio.

Warhol diceva che Napoli è come New York, una città che cade a pezzi, e nonostante tutto la gente è felice e questa cosa “a’ sape tutto o’ munno, ma nun sann’ a verità”.