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Downrange- Recensione del film di Ryuhei Kitamura

Downrange

Il giapponese Ryuhei Kitamura, dopo il fallimento americano di Prossima fermata: L’inferno, il film collettivo BATON e No One Lives, ritenta un approccio americano con l’horror Downrange.

Il suo cinema, infatti, aveva precedentemente abbracciato l’America con il buono, ma sottovalutato, The Midnight Meat Train. La collaborazione con gli USA per Downrange, stavolta, porta molti più frutti al regista di Osaka, che finalmente si rialza dal dimenticatoio in cui si era rannicchiato. Oltre ad aver risollevato il proprio cognome, Kitamura regala agli appassionati un horror action da non lasciarsi assolutamente sfuggire.

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Sara Flechter e Todd Acosta, una coppia di fidanzati, sono in viaggio con alcuni ragazzi appena conosciuti tramite car pool. Entrambi i ragazzi, durante il tragitto lungo una strada di campagna, fanno amicizia con Jodi, Karen, Eric e Jeff. La loro serenità viene interrotta quando il SUV va fuori strada a causa di uno pneumatico forato.

Ben presto si scopre che ciò che ha causato l’incidente ai sei studenti universitari non è stato qualcosa, bensì qualcuno.

Impossibilitati a rimettersi in pista  a causa del danneggiamento del veicolo, i  giovani si ritroveranno ad essere il bersaglio di una figura invisibile. Si nasconderanno, così, dietro al SUV, loro unico scudo, tentando di sopravvivere alla furia omicida del killer senza volto.

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Presentato al Toronto International Film Festival del 2017, luogo preferito da Kitamura, Downrange riesce nell’intento di ammaliare i cuori dei fan del cinema indipendente. La trama è semplificata, quasi spoglia, ma Kitamura si riconferma come grande regista di un cinema violento e intenso. Non è tutto però. L’ultimo film del regista di Versus si dimostra un prodotto munito di invidiabile originalità, freschezza e trattenimento. La peculiarità di Downrange sta nel proporsi come un’opera con una storia ridotta all’osso, di conseguenza marginale, ma di natura intelligente. Seppur la narrazione non viri sull’esplicazione di personaggi, vicende o decifrazioni, l’interesse del pubblico viene spinto sulle conseguenze.

La domanda in Downrange non è ”perché?” ma piuttosto ”come finirà?”.

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Tramite espedienti particolari- sanguinosi e d’impatto, ma necessari- Kitamura rappresenta la tragica e sanguinosa imprevidibilità della vita. Il punto curioso e stimolante di tutta l’opera ultima del regista, sta nel ribaltare posizioni con stratagemmi sempre più innovativi e inattesi. Il ritmo del film procede lesto e con dinamicità, catapultando lo spettatore- sin dall’inizio- nell’avventura mortale dei ragazzi del carpooling senza intervalli. La continuità di Downrange non lascia né tempo né modo, a  chi guarda, di riposare, riflettere e supporre.

L’unico scopo dell’osservatore a casa è stare alle calcagna della macchina da presa proprio come l’omicida fa con le vittime senza mostrare alcuna pietà.

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La spettacolarità di Downrange è infatti dimostrata non solo dalle potenti scene in cui primeggia la componente splatter- designata da effetti speciali di altissimo livello- ma anche da una fotografia paesaggistica, nitida e incantevole. Cambiare continuamente le carte in tavola- eliminando le soluzioni abusate per sostituirle con tattiche inconsuete- è l’elemento vittorioso e di forza di quest’autentica, godibile e ingegnosa gemma dell’horror. Il pacchetto è conseguito con successo dal momento che, la visione feroce qui mostrata, è illustrata sotto vesti, ambientazioni e maschere americane, ma con un’impronta- e follia- stilistica propria del cinema orientale.

Downrange è la prova preminente che Kitamura ormai, oltre ad essere un esponente dell’horror d’azione pieno di padronanza, è soprattutto un autore. Ed è giunto il momento di riconoscerlo.