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Cry Macho (2021) – La Recensione

“Questa cosa del macho è sopravvalutata”, dice Mike. “Pensi di avere tutte le risposte, ma poi invecchi e ti rendi conto che non ne hai. Quando lo capisci, è troppo tardi.”

50 anni dopo il suo esordio alla regia il 91enne Clint Eastwood torna dietro e davanti la cinepresa adattando insieme a Nick Schenk (col quale aveva già lavorato in “Gran Torino” e “The Mule”) un romanzo del compianto N. Richard Nash.

Eastwood interpreta Mike Milo: un tempo icona del rodeo e abile addestratore di cavalli, appena licenziato dal suo capo, Howard (Dwight Yoakam). Ma il boss ha in serbo per lui ancora un lavoro: andare in Messico a recuperare suo figlio 13enne Rafo (l’esordiente Eduardo Minett) dalla sua ex moglie (Fernanda Urrejola).

Un on the road tra le suggestive location messicane (ben fotografate da Ben Davis ) che offre all’anziano autore diversi argomenti da affrontare: l’invecchiamento, la saggezza, la virilità, l’onestà e il godersi i piccoli piaceri della vita.

Volendo trovare riferimenti nella lunga carriera di Eastwood, questo Cry Macho ha i toni di “Gran Torino”, ” Bronco Billy”, “Un mondo perfetto” e “The Mule”, ma con una scrittura e soprattutto una regia in fase di prepensionamento.

Esattamente come il primo delle pellicole citate, al centro del film c’è l’improbabile legame tra un vecchio e ottuso brontolone e un impertinente giovane che ha tanto da imparare dalla vita.

C’è poco altro da dire, non resta, nel bene e nel male, che godersi il viaggio, tra pillole di saggezza, due o tre battute sagaci e sentimentalismo di troppo, come quando Mike e Marta (Natalia Traven) iniziano a flirtare in stile “I Ponti di Madison County”.

Un atto riassuntivo del suo cinema, un compendio un po’ stanco di una filmografia sempre vitale e mai scontata. Un film laconico, sicuramente non il suo migliore, girato con un stile essenziale e rilassato.

Forse il buon vecchio Clint ha mollato il pedale dell’acceleratore, o forse semplicemente si sta godendo il paesaggio.