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Cos’è il cinema? Episodio pilota

Che cos’è il cinema?” è il titolo di un fondamentale e celebre saggio scritto da Andrè Bazin. Un libro di non facile lettura, piuttosto impegnativo. Ma il suo titolo è chiaro, cristallino. Lascia intendere benissimo il contenuto delle pagine al suo interno. Ecco perché abbiamo deciso di prendere in prestito questa semplicissima domanda per nominare questa nuova serie di articoli. Di cosa si parlerà, dunque? Di cinema. Di come è fatto. Molti appassionati di cinema, amanti di questa meravigliosa arte, non posseggono nozioni di grammatica cinematografica. Ed ecco che arriva in soccorso Jamovie. Ovviamente, questo non sarà un “corso” di regia ma un semplice aiuto per chiunque volesse riuscire a leggere un film in modo più approfondito e tecnico. Parleremo di numerosi argomenti, dalla regia al montaggio, dalle fasi preliminari della realizzazione di un film a quelle finali, senza trascurare considerazioni più “filosofiche” inerenti vari aspetti del cinema. Il consiglio più importante che potreste mai leggere nel corso di questa serie è il seguente: leggete quanti più libri potete. Le biblioteche e le librerie sono ricchissime di saggi sul cinema scritti da studiosi, registi, direttori della fotografia, ecc. Quando, nel corso di questo ciclo di articoli, si parlerà di filosofia del cinema, uniremo sia pensieri personali che di veri e propri filosofi e teorici ben più autorevoli di me, come il già citato Bazin o Gilles Deleuze.

Capitolo 0. L’ATOMO CINEMATOGRAFICO.

Vi aspettavate che saremmo partiti con il parlare di regia o di sceneggiatura? Ebbene no. Il primo argomento di questo ciclo di articoli è il mattone fondante del film, l’elemento senza il quale il cinema non esisterebbe: il fotogramma o frame.  Come si potrebbe definire il fotogramma? Esso è l’atomo cinematografico, la parte più piccola di un film ma, al tempo stesso, la più importante. Si tratta di un’immagine statica, una fotografia a tutti gli effetti, i cui limiti sono quelli dell’inquadratura (di cui parleremo in seguito). Potremmo definirlo come un’istantanea del volere del regista, il quale studia in fase preliminare ogni scena, ogni inquadratura e, di conseguenza, ogni frame.

Sergej Michajlovic Ejzenstejn concentrato sui fotogrammi della pellicola.

Un’immagine statica, abbiamo detto. La quale, se affiancata ad altre molto simili tra loro, dà l’illusione del movimento. Il cinema, dunque, potrebbe definirsi come la traduzione moderna del celebre paradosso della freccia di Zenone. In sintesi, per chi non lo conoscesse, Zenone, importante filosofo della scuola eleatica, ideò tre paradossi per dimostrare l’inesistenza effettiva del moto, che lui concepiva come semplice illusione. Il paradosso della freccia afferma che una freccia non si muove davvero, poiché il tempo altro non è che un insieme di istanti consecutivi e la freccia, in ognuno di questi istanti, non può che occupare una porzione di spazio pari alla propria lunghezza, il che si traduce nell’immobilità della freccia in ogni singolo istante. Ovviamente, questo discorso non è realmente applicabile alla “vita vera” ma si manifesta in tutta la sua correttezza e veridicità in ambito cinematografico: la pellicola è il tragitto dei fotogrammi, ognuno dei quali altro non è che la freccia del paradosso, ed ogni fotogramma è immobile ma il rapido scorrere di queste immagini illude la nostra mente facendoci credere che esse siano effettivamente in movimento. Tuttavia, un importantissimo filosofo della seconda metà del ‘900, Gilles Deleuze, non è dello stesso avviso: nel suo fondamentale saggio L’immagine-movimento. Cinema 1 rinnega questo pensiero, sostenendo che il cinema non si sostanzia nella sequenza di immagini immobili ma fornisce direttamente delle immagini-movimento. Secondo lui, ben consapevole del funzionamento della macchina da presa e, dunque, non trascurando il concetto di fotogramma, l’immagine cinematografica è un’immagine media, la somma di tutti i fotogrammi, in cui il movimento non è una caratteristica astratta aggiunta dall’occhio dello spettatore ma è elemento costituente, un dato immediato. Certo, potreste benissimo chiedervi: a che serve ragionare su questo argomento? La risposta più banale ma anche più corretta sarebbe: a nulla. Però, per ottenere una conoscenza più profonda del cinema, è importante ragionare anche su aspetti più filosofici.

Il filosofo Gilles Deleuze, autore del saggio “L’immagine-movimento. Cinema 1”.

Passando ad argomenti più pratici: cos’è che permette a delle immagini statiche di creare l’illusione del movimento? Tutto è da ricollegarsi al nostro occhio, che riesce a vedere la realtà con estrema fluidità. La macchina da presa, per simulare quella stessa fluidità, riprende le immagini con una frequenza di almeno 24 fotogrammi per secondo (fps). Infatti, questa è la soglia minima che permette all’occhio di vedere un’immagine in movimento senza scatti: già a 23 fps vedremmo un movimento piuttosto singhiozzante, perché l’occhio umano “riprende” la realtà a circa 24-30 fps. Ovviamente, come ogni regola, anche quella dei 24 fps è fatta per essere infranta: infatti, talvolta un regista potrebbe scegliere di ridurre il numero di fotogrammi al secondo, per fini narrativi ed espressivi. Un esempio lampante è quello di Wong Kar-Wai, che non di rado effettua dei ralenty che portano gli fps di alcune scene al di sotto della soglia dei 24.

Il frame rate (la quantità di fotogrammi al secondo) non è una cosa alla quale si presta molta attenzione quando si realizza un film in live action. Ma diventa un elemento sul quale porre la massima attenzione nel cinema d’animazione, in particolar modo in quello classico: fino a qualche decennio fa, infatti, i film animati venivano realizzati disegnando ogni singolo fotogramma, richiedendo un enorme impiego d’energie e grossi team incaricati di realizzare e controllare la continuità di ciascun fotogramma. Un altro esempio di animazione che presta molta attenzione ad ogni singolo istante della pellicola è la stop motion. Questa tecnica prevede di realizzare una fotografia a dei modellini, dei quali viene in seguito modificata leggermente la posizione per realizzare un’altra foto e così via. Fino ad ottenere 24 immagini. 24 immagini per un secondo di film. Come è facile immaginare, la stop motion, così come la tecnica d’animazione “disegnata” classica, è estremamente impegnativa e lunga da realizzare. Prendiamo come esempio il celeberrimo Nightmare Before Christmas di Henry Selick. Il film dura circa 70 minuti (arrotondiamo per difetto), ovvero 4200 secondi: ciò significa che la pellicola ha 100800 fotogrammi e, di conseguenza, che in fase di realizzazione sono state scattate 100800 fotografie con 100800 leggerissimi spostamenti dei modellini dei vari personaggi e ambenti. Un lavoro mastodontico. O ancora, Anomalisa di Charlie Kaufman e Duke Johnson dura 90 minuti, quindi ha richiesto la realizzazione di 129600 fotografie.

I protagonisti del bellissimo Anomalisa: Michael e Lisa.

In conclusione, il fotogramma è l’elemento fondamentale del cinema, ancora più importante dell’inquadratura. Senza il fotogramma, non esisterebbe il film. E senza film, non esisterebbe il cinema. In fondo, il nostro amore per il cinema è completamente debitore a quel piccolo quadratino di pellicola che la maggior parte della gente ignora. L’atomo di un film; l’essenza del cinema.