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Il cinema spietato di Zahler

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Il cinema di S.Craig Zahler, scrittore e solo negli anni recenti regista, è di quelli che hanno poche speranze di finire in sala.

E questo è, davvero, un peccato: le tre pellicole al suo attivo sono accumunate da storie solide, cura nel montaggio e nella fotografia maniacali, per non parlare di un cast pazzesco.

Il problema è forse la violenza.

Ma andiamo con ordine: la sua opera prima è Bone Tomahawk, un western con derivazioni horror; segue il prison movie Brawl in cell 99 per finire con il più recente poliziesco Dragged across concrete.

Nel primo, un impianto corale di uomini del West che si ritrovano a fronteggiare una tribù di indiani cannibali; in Brawl, un uomo messo alle strette in carcere che si troverà costretto ad azioni estreme; Il terzo, apparentemente, ancora più canonico: un protagonista poliziotto amareggiato dalla propria vita che insegue la svolta non propriamente legale.

Impianti narrativi sulla carta visti e stravisti, ma Zahler è capace di massimizzare il risultato stravolgendo i tempi e gli stilemi cinematografici a cui siamo abituati.

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Il regista non teme infatti di fare le cose con calma – tutti e tre i film sfondano il muro delle due ore – con il fine non tanto di infarcire questo minutaggio di eventi, bensì nella caratterizzazione dei personaggi, nella loro decostruzione.

Ci troviamo così davanti a un omaccione di due metri con un background da criminale che nel giro di 10 minuti si scopre cornuto e disoccupato, smonta letteralmente la macchina di lei con le proprie mani per poi…mettersi a parlare di amore e riconciliazione. O di lunghe scene durante un appostamento dove non succede nulla, se non uno scambio di battute utili a dare tridimensionalità ai personaggi. Tutto questo in un altro cinema sarebbe semplicemente un momento morto tra una sparatoria e l’altra, ergo velocemente glissato.

Uomini granitici

Che sia un impianto corale o un one-man show poco importa: i personaggi di Zahler sono caratterizzati con cura e accumunati da un attaccamento quasi old-style a un codice morale di fondo, che applicano a prescindere dalle conseguenze. Da questo punto di vista è facile fare un confronto con Mann (che Zahler ricorda anche per il rigore e la ricerca nella fotografia). Detto questo, non parliamo certo di eroi, bensì di persone capaci di atti riprovevoli piuttosto che di atteggiamenti quantomeno politicamente scorretti; Vedasi Dragged across concrete, che non prova minimamente a nascondere la matrice razzista dei protagonisti.

Ma dietro ogni azione c’è un caratterizzazione fatta di dettagli, momenti quotidiani estranei al mero sviluppo narrativo comunque fondamentali per imprimere l’identità dei personaggi, che a prescindere dall’occhio dello spettatore hanno motivazioni ferree date dalla loro concezione di giusto e sbagliato. Soldi, famiglia, senso etico del dovere: farsi ammazzare o spaccare crani con le proprie mani è solo una contingenza.

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Un cast enorme

E non parliamo di quantità; alcuni nomi sono ricorrenti, ma è impressionante la rosa di attori cult che riempiono queste pellicole, siano essi i protagonisti o delle, possenti, spalle: Kurt Russel, Don Johnson, Mel Gibson tremendamente in parte (un vecchio disilluso e politicamente scorrettissimo, si rasenta la biografia) sono delle garanzie, ma davvero non da meno è un immenso Vincent Vaughn. Chi è stupefatto di tale affermazione forse non ha visto True Detective 2, dove ha dimostrato a tutti le sue capacità attoriali ben oltre il lato comico per cui è conosciuto. Certamente non manca di dare il suo contributo per sarcasmo e battute in ogni circostanza, ma in Brawl è semplicemente perfetto e mette in mostra pienamente la sua imponente stazza e credibilità nello smontare le persone a mani nude.

Zahler ha senza dubbio degli ottimi gusti, portando su schermo oltre ai sopracitati il sempre inquietante Udo Kier, l’iconica Sean Young e Micheal Jay White; non stupirebbe se si scoprisse essere un fan di Banshee, da cui fanno capolino Lili Simmons e Geno Segers (per gli amici, il bestiale Chayton). Una serie che certo non indugiava nell’efferata violenza, altro elemento caro al regista.

Dicevamo della violenza

Non è banale vedere film come questi al cinema; bisogna ammettere che alla distribuzione serve del pelo sullo stomaco per mostrare in sala scene talmente feroci. A scanso di equivoci, il gore non è elemento portante di nessuno dei tre titoli, ma è sia funzionale alla narrazione, che destabilizzante nei modi e nei tempi. Zahler promette il peggio, e quando, senza fretta, mantiene la promessa, le scene restano impresse nella memoria.

A volte è una morte estremamente grafica dopo minuti su minuti spesi a creare tensione; in altre è la sensazione di dolore associata a pestaggi grevi inauditi; altre ancora è persino più subdola, nel’affidare a loschi individui minacce a base di mutilazione di feti, piuttosto che nel presentare un personaggio quel tanto che basta per creare empatia, facendolo morire male minuti dopo. Senza dubbio disturbante, ma estremamente efficace nel settare i toni del film, della brutalità del male. Non c’è posto per dialoghi da villain o per  colonne sonore drammatiche, quasi completamente assenti: il male è banale, è necessità di cibarsi, è mera avarizia, è asettico ed efficente.

Un cinema non facile, un cinema che può disturbare e farti sentire sporco; per il troppo sangue, per gli argomenti spinosi, o anche solo perchè il sedicente eroe fa cose orrende.

Senza meno un cinema coraggioso, quindi necessario.

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Direttore e Fondatore

Il lavoro e la vecchiaia incombono, ma da quando ho memoria mi spacco di film di fantascienza, dove viaggio di testa fino a perdermi, e salto in piedi sul divano per dei tizi che si menano o sparano alla gente come fossero birilli. Addolorato dalla piaga del PG­13, non ho più i nervi per gli horror: quelli li lascio al collega, io sono il vostro uomo per scifi, azione e film di pistolotti metacinema/mental/cose di finali tripli.