Dopo il pasoliniano La Commare Secca, Bertolucci nel 1964 gira la sua opera seconda “Prima della rivoluzione”.
La pellicola anticipa, insieme al suo gemello diverso I pugni in tasca di Bellocchio (uscito l’anno successivo), l’arrivo di una stagione di profonde tensioni antiborghesi che sfocerà nel fenomeno socio-culturale del “Sessantotto”.
Una pellicola che ha inoltre il merito di aver introdotto nel nostro cinema quella rottura stilistica con le “cinéma de papa”, definizione introdotta da Truffaut qualche anno prima.
Prima della Rivoluzione è ispirato alla La Certosa di Parma di Stendhal, romanzo con il quale condivide la struttura narrativa e i nomi dei protagonisti. A sua volta la storia è a sua volta suggerita dagli eventi di Papa Paolo III, che divenne pontefice grazie all’aiuto della zia Vannozza (che adorava il nipote).
La trama ruota attorno a Fabrizio (Francesco Barilli), giovane marxista di Parma che ha una relazione incestuosa con la zia Gina (Adriana Asti). Il ragazzo deve inoltre fare i conti con la sua natura borghese per condizione di nascita e di classe. Lacerante struggimento che lo rende intimamente affine allo stesso Bertolucci.
La pellicola inizia con una didascalia: «Chi non ha vissuto negli anni prima della Rivoluzione non può capire che cosa sia la dolcezza del vivere».
Si tratta di una parafrasi del politico, guarda caso, francese Talleyrand, che si trovò a vivere, suo malgrado, la rivoluzione del 1789.
Incipit che suona ironico e umanamente drammatico quando Fabrizio al Parco Ducale di Parma, si trova a discutere con l’insegnante/amico/mentore Cesare (interpretato dal critico cinematografico Morando Morandini). In quell’occasione il ragazzo dirà una frase chiave della pellicola: “Io ho un’altra febbre che mi fa sentire la nostalgia del presente. Mentre vivo sento già lontanissimi i momenti che sto vivendo, così non voglio modificarlo il presente, lo prendo come viene. Ma il mio futuro di borghese è nel mio passato di borghese, così per me l’ideologia è stata una vacanza, una villeggiatura. Credevo di vivere gli anni della rivoluzione e invece stavo vivendo gli anni prima della rivoluzione”.
Sembra quasi che Bertolucci, non solo sia consapevole dell’imminente fuoco incendiario in arrivo, per strada, nei salotti e nelle Università italiane, ma anche la natura borghese di un cambiamento che porta in grembo il seme del suo stesso fallimento.
La rivoluzione bertolucciana, così sorprendente e tranchant, non la si trova tanto nella narrazione quanto nello stile.
L’autore rende il vezzo dogma, trovando nella ricercatezza delle inquadrature lo sberleffo al cinema del passato. Spesso sopra le righe Prima della Rivoluzione è talmente sicuro delle proprie convinzioni estetiche e dei propri riferimenti cinematografici da risultare quasi altezzoso. Bertolucci gioca con le citazioni e innesta nell’impianto narrativo metacinematografia contemporanea. A ciò si uniscono anche omaggi al passato, da cui non si può prescindere e/o inspiegabilmente sottovalutato. In pieno stile Nouvelle vague.
La celebre frase del suo amico cinefilo interpretato da Gianni Amico (cosceneggiatore, aiuto-regista e produttore esecutivo del film): «Ricordati, non si può mica vivere senza Rossellini». Quindi la scena al Supercinema Orfeo di via Oberdan, uno delle tante romantiche sale fagocitate dai Multiplex. Alle loro spalle si vede la locandina di La donna è donna (Une femme est une femme) diretto pochi anni prima da Jean-Luc Godard.