Home recensioni drammatico Cafarnao, Caos e Miracoli – La recensione

Cafarnao, Caos e Miracoli – La recensione

Cafarnao era una città della Galilea dove si tramanda che Cristo abbia iniziato le proprie predicazioni. E da città già movimentata, le folle attirate da lui la trasformò in un paese ancora più caotico, affollato da genti diverse. Per questo Cafarnao, termine antico e oggi desueto, è utilizzato per indicare disordine, caos e confusione.

È un caos in terra è la Beirut in cui si muove Zain, bambino tra tanti nelle baraccopoli libanesi nutrite da poco cibo e molta povertà e miseria.
Eppure è proprio la profondità dei rapporti umani che nascono in questo caos di sentimenti al limite il filo conduttore del potente dramma di Nadine Labaki, che otto anni dopo il bellissimo E ora dove andiamo?  torna con un’ottima pellicola che le è valsa, meritatamente, una nomination all’Oscar come miglior film straniero e la vittoria del Premio della giuria allo scorso Festival di Cannes.

Protagoniste di Cafarnao sono sprazzi di umanità piene vissute ai margini, emblematicamente rappresentate dal piccolo Zain che, sprovvisto di qualsivoglia documento di nascita e per questo privato di qualsiasi identità, decide alla fine di eventi tormentati di denunciare i genitori per averlo messo al mondo. Un mondo duro e scevro da ogni gratificazione, dove si lavora tutto il giorno per poter mangiare e sfamare i familiari. Un mondo dove uno scuolabus carico di bambini si destreggia tra i vicoli di Beirut, mentre Zain trasporta pesanti carichi e osserva, sfiorando soltanto la realtà che gli spetterebbe.
Un’esistenza priva di amore e di affetto se non per pochissimi legami, come quello che Zain ha con la sorella Sahar che cerca con tenerezza di proteggere dal destino di ogni donna adulta, ovvero un matrimonio combinato – in questo caso dalle implicazioni ancora più gravi.


Ma nelle asperità di situazioni tanto complesse quanto enormi per le spalle di un bambino si creeranno  legami nuovi. Perché speculare alla violenza fisica e verbale della sua famiglia, Zain si ritroverà protetto ed amato da Rahil, ragazza madre etiope che lotta per la sopravvivenza propria e del suo bimbo, il piccolo Yonas, in un mondo ostile e avverso.
Per Zain Yonas diventerà un fratello di cui prendersi cura e da proteggere a sua volta, in un sodalizio innescato dalla disperazione, da un amore che nasce dal nulla ma messo a dura prova dalla precarietà in cui si tutti muovono, diretti verso la ricerca di un futuro nuovo attraverso un trafficante di essere umani senza scrupoli.

Cafarnao è visivamente impattante, scevro di parole e fitto di vissuto, emotivamente fortissimo in alcune scene chiave e per la costruzione del loro climax – splendida, ad esempio, la sequenza della giovane Rahil che getta il proprio latte materno. Nadine Labaki ci accompagna negli splendidi scorci di Beirut, nella Babele dei suoi vicoli, dei suoi mercati, dei suoi quartieri più poveri e delle sue prigioni. Ma soprattutto la Labaki non si nasconde e soprattutto non nasconde la realtà delle cose, non edulcora e non indora la pillola, inchiodando chi guarda con una dichiarazione d’intenti chiara sin dalle prime scene: la realtà è questa, che ci piaccia o no.
C’è uno sguardo estremamente profondo ed allo stesso tempo mai morboso nel seguire i piccoli protagonisti nella loro Odissea di ultimi tra gli ultimi, tra canti di sirene ed inganni, nella speranza allo stesso tempo di una terra promessa. Uno sguardo sensibile, sorretto anche da un’ottima colonna sonora, dove la narrazione non viene forzata se non in pochissimi momenti. Ininfluenti nel complesso di una pellicola realizzata con grande bravura.
Ci può essere speranza dove non ne è concessa nemmeno alla nascita o dai propri genitori?
Cafarnao ce ne concede un barlume nel timido sorriso di una foto.
E nell’attesa di un futuro migliore.