Il furore della Cina colpisce ancora è il film più importante della carriera cinematografica di una delle personalità più importanti del XX secolo: Bruce Lee. Infatti, è con questo film che l’artista marziale più celebre al mondo arriva ad Hong Kong ed è con questo film che viene conosciuto in tutto il mondo (sebbene in Italia questo film fosse uscito dopo “Dalla Cina con furore”, realizzato nel 1972). Originariamente, il personaggio di Lee avrebbe dovuto ricoprire un ruolo secondario ma, durante la lavorazione, Lo Wei, il regista, insieme con la produzione, ha deciso di renderlo il protagonista assoluto della pellicola. Non solo, ma Il furore della Cina colpisce ancora è il film che fa conoscere al mondo il gongfupian (o film gongfu), che, dopo questo film, vide un’exploit pazzesco, sebbene in territorio hongkongese fosse un genere già ben consolidato. Cosa si intende con il termine gongfupian? Esso è quel genere di film d’arti marziali che prevede che i personaggi si scontrino a mani nude o, tutt’al più, con armi bianche.
Chen (Bruce Lee) arriva in una piccolo villaggio thailandese in cerca di un lavoro. E’ un grande artista marziale ma, in seguito ad una promessa fatta alla madre prima della sua partenza, si rifiuta di lottare con chicchessia. Ospitato da suo cugino e dai suoi amici (oltre che dalla sua bellissima cugina, con la quale flirta in modo piuttosto innocente), trova lavoro nella fabbrica di ghiaccio in cui lavorano anche i suoi nuovi coinquilini. Dopo il suo primo giorno in fabbrica, a causa di un incidente, due di loro vengono uccisi dal direttore. Da quel momento, Chen e gli altri cercheranno di capire che fine abbiano fatto, tra scontri corpo a corpo spettacolari (la collana di Chen, simbolo della promessa fatta alla madre, viene rotta) e menzogne, fino al combattimento finale, un vero capolavoro.
Tra i film con Bruce Lee arrivati in Occidente, questo è probabilmente quello invecchiato meno bene (I 3 dell’operazione drago, ad esempio, resta un capolavoro nonostante tutti gli anni trascorsi), anche a causa di problemi tecnici in fase di scrittura che rendono buona parte dei personaggi delle ombre senza alcun tipo di approfondimento psicologico. Tutti i buoni sono identici, tutti i cattivi sono identici. La caratterizzazione è estremamente blanda, anche per quanto riguarda Chen e il suo antagonista, il padrone della fabbrica: il primo è perfettamente buono, talmente buono da essere ingenuo (e, infatti, si farà imbrogliare dal direttore, per colpa del quale Chen perderà la fiducia dei suoi amici); il padrone, invece, è perfettamente malvagio, essendo crudele con i suoi dipendenti e un predatore sessuale nei confronti di giovani ragazze. Si ha, dunque, una dicotomia bene-male radicale come nel cinema della Hollywood classica, in cui i buoni sono buoni e basta e i cattivi sono cattivi e basta: in questo senso, è un film molto lontano dal concetto taoista dello yin e dello yang.
La regia di Lo Wei fa il suo lavoro senza però mai attestarsi su ottimi livelli, limitandosi, il più delle volte, a mostrare ciò che accade con freddo distacco dall’azione. Nelle scene di combattimento, invece, alterna inquadrature quasi documentaristiche ad altre che invece gettano lo spettatore tra i combattenti, creando, talvolta, un senso di disagio perché ci si sente ora lontani, ora immersi, ora nuovamente lontani e ora ancora immersi nell’azione. Tuttavia, la scena dello scontro finale tra Chen e il padrone è girata molto bene e coreografata ancora meglio (d’altronde le coreografie dei film con Bruce Lee, essendo pensate da lui stesso, sono sempre eccellenti) e riesce a trasmettere il pathos necessario a rendere questa sequenza semplicemente stupenda.
Ultima chicca, per concludere la recensione: nella versione restaurata del film, vi sono alcune modifiche al film, la più interessante delle quali riguarda la colonna sonora. Infatti, in alcune sequenze, soprattutto quando alcuni personaggi entrano nella villa del padrone, è stata inserita la parte iniziale di quel capolavoro che è Time dei Pink Floyd, per la precisione la sezione appena dopo le sveglie. Solo questo aspetto dovrebbe bastare per convincere chiunque a guardare il film.
Articolo a cura di Federico Querin