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Bloody Sunday: il cinegiornalismo di Paul Greengrass

Nella città di Derry in Irlanda del Nord c’è la St Columb’s Cathedral edificio gotico del 1633, la quale mostra questa iscrizione: «If stones could speake then London’s prayse should sound Who built this church and cittie from the grounde.»

La città è stata per tanti anni al centro del conflitto nordirlandese, tra i nazionalisti cattolici dell’Ulster e gli unionisti in larga maggioranza protestanti. Uno degli eventi più significativi e drammatici di questo insanabile conflitto avvenne il 30 gennaio 1972, il Bloody Sunday “domenica di sangue” o in gaelico “Domhnach na Fola”. La sceneggiatura di Bloody Sunday nasce dal libro Eyewitness Bloody Sunday di Don Mullan e segue passo passo, le fasi di questa triste vicenda.

Ivan Cooper (James Nesbitt) , politico protestante del Partito Socialdemocratico e Laburista, quella domenica è a capo di una manifestazione pacifica sul tema dell’indipendenza. Chiede personalmente ai membri dell’IRA di non partecipare a quell’iniziativa nella speranza di non far sfociare una civile marcia di protesta in un pericoloso scontro fisico con i soldati inglesi. Ma qualcosa va storto. Il 1º battaglione del reggimento paracadutisti dell’esercito britannico spara inspiegabilmente alla folla inerme uccidendo 14 persone.

L’episodio rinfocolò il nazionalismo filoirlandese spingendo molti giovani all’arruolamento in massa tra le file dell’IRA e inasprendo i sentimenti separatisti contro il governo di Londra.

Il primo e più celebre riferimento culturale che viene in mente parlando della “domenica di sangue” di Derry è ovviamente “Sunday Bloody Sunday” anthem cult della rock band irlandese degli U2 e presente nei titoli di coda del film.

La pellicola diretta da Paul Greengrass, consacrerà il regista, che appena un anno dopo sarà assoldato dagli studios per girare The Bourne Supremacy e un sodalizio con Matt Damon che continua ancora oggi.

Ma proprio in Bloody Sunday si trovano gli stilemi tipici del regista inglese. In primis un uso esasperante della handheld shot, con l’operatore, mdp sulla spalla e sempre a ridosso dei protagonisti, per un’esperienza immersiva di stampo documentaristico che ritroveremo anche in United 93 e nel più’ recente 22 luglio. Piani sequenza che lasciano senza fiato. La fotografia desaturata di Ivan Strasburg per restituire le atmosfere da polaroid sbiadita degli anni ’70. Il sapiente montaggio della compianta Clare Douglas (United 93), fatto di tagli netti e dissolvenze su nero. Il tutto in 16 mm e un rigore visivo d’altri tempi.

Un cinema che spettacolarizza il dramma e amplifica la verità, con lo scopo genuino di intrattenere e allo stesso tempo empatizzare con la tragedia umana. Un progetto nobile e riuscito. Un’opera corale che pur stigmatizzando l’ottusità di una delle parti in causa, lascia comunque allo spettatore il giudizio morale.

Cinegiornalismo potente, necessario premiato con l’Orso d’oro a Berlino (ex aequo con La città incantata di Miyazaki).