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Bande à part, Jean-Luc Godard (1964)

Arthur (Claude Brasseur) e Franz (Sami Frey) sono due scapestrati giovanotti di periferia.
Conoscono Odile, una ragazza timida e introversa.
Il corso di inglese diventerà il luogo di un corteggiamento sfrenato, specie dopo aver saputo dalla ragazza come la vecchia zia custodisca un ingente somma di denaro presso la sua villa.
In un fulmineo quanto rischioso proposito, i due decideranno di mettere in atto un piano diabolico per impossessarsene…

Odile è Anna Karina, o forse Anna Karina è Odile.
Godard consegnerà alla sua ormai ex moglie, sull’orlo della depressione e quasi vittima di suicidio, uno dei ruoli più iconici della sua carriera.
Odile è una foglia trascinata dal vento.
Non ha forza di opporsi alla dirompente meschinità che la circonda, Indifesa.
Sposa la meschinità e ne è affranta.
Non conosce un modo diverso per essere, non intuisce strade impervie per riscattarsi.
Due codine e due occhi da cerbiatta.
Una purezza inerme, fuori luogo, una fine annunciata.
Un biglietto d’amore, un complimento, un bacio.
Ad Odile basta poco.
E quel poco triste, rivelatore.
La gioia effimera delle anime senza speranza.
Franz e Arthur sono due miserabili.
Due perduti, meschini e balordi.
Sono ragazzi dimenticati, lasciati a se stessi.
Due bulli di quartiere che si inventano un pretestuoso posto nel mondo, tiranneggiando una vita a loro amena.
Godard illumina con suggestiva eleganza uno scenario spento, essenziale,vuoto come il desiderio della salvezza.
Un tragico epilogo, con la tristezza dell’impotenza, e con la lucidità della poesia.
Unica arteficiosa illusione, l’iconica scena girata al Louvre di Parigi, in cui i tre disperati protagonisti svestiranno i panni della perdizione e si diletteranno per brevissimo tempo nell’agognata joie de vivre,in una corsa a perdifiato tra la bellezza.
Una sequenza crudele,amara come poche.
Uno sguardo fugace alle macerie.
Un sorriso sincero dentro la malinconia.
Nell’ overture del film, Arthur e Franz ammirano in lontananza la magnificenza della ricchezza.
Una villa sospesa sul lago.
È lo sguardo imperituro, il richiamo alla felicità negata,e l’assoluta certezza della sconfitta.
Lo sa Godard e lo sanno loro.
Lo sa lo spettatore eppure rimane.
Poco dopo, in un giocoso scambio di battute, Arthur fingerà di morire sul ciglio della strada, per poi ridere e rimettersi sulla Simca.
La Simca partirà sgommando.
E lo farà prima assalendo un marciapiede, poi rimettendosi in carreggiata.
Un dettaglio premonitore.
Il sentiero da seguire, un miraggio, un’utopia necessaria.
Così è per questi ultimi, arrabbiati e mediocri burattini rivolti al baratro, nati bambini e divenuti subito vecchi.
Un tentativo rabbioso e sprezzante, una feroce lotta all’autodeterminazione in cui il mezzo si fa veleno, preannuncia e determina il fallimento.
La carreggiata, inizialmente facilmente riconquistata, un monito.
L’epilogo non sarà clemente: quella Simca stavolta rimarrà la, sul marciapiede, ai margini della strada, di una vita, che non li ha voluti.
Curiosità.
In Italia la pellicola uscì in poche sale con il titolo Separato magnetico.
Odile Monod (la protagonista) è il nome da nubile della madre di Godard.
L’attore che interpreta Franz a quei tempi era fidanzato con Brigitte Bardot.
Il libro dal quale è tratto il soggetto, Fool’s Gold della Hitchens, fu consigliato a Godard da Truffaut.
Ai tempi della lavorazione, Godard e la Karina stavano già divorziando, ma il grande regista volle darle il ruolo per distrarla dalla sua profonda depressione e dal tentato suicidio.

Sara Guzzardi