Home Rubriche Horror Il fascino discreto dell’ematofagia: A girl walks home alone at night (2014)

Il fascino discreto dell’ematofagia: A girl walks home alone at night (2014)

Recensione a cura di Luca Busani.

Un giovane rockabilly tira a campare per mantenere sé stesso, il vecchio padre tossicodipendente e la decappottabile dei suoi sogni.
Il suo spacciatore, invece, vive una vita dissoluta e sregolata e, proprio seguendo i suoi vizi, incrocia la strada di un’affascinante donna, tanto misteriosa quanto inquietante.
Le vite -e le morti- di questa manciata di personaggi s’intrecciano così sullo sfondo di un’apatica città mediorientale, in cui i confini tra bene e male non sono così netti come siamo soliti pensare e ciò che spaventa non sempre coincide con ciò che nuoce (e viceversa).

L’esordiente Ana Lily Amirpour gira in una California che sembra l’Iran uno dei film neri -definirlo horror sarebbe riduttivo- più originali degli ultimi anni e mescola con impressionante naturalezza il minimalismo di Kiarostami (non sembra quindi casuale la scena della danza con il palloncino) con l’orrore turbato e decadente dei vari Ferrara e Jarmusch, aggiungendovi le suggestioni grafiche dei fumetti della Satrapi e quelle letterarie dei romanzi di Lindqvist.
Perfino l’eyeliner di cui la protagonista abusa non evoca tanto sentori di un’improbabile frivolezza muliebre, quanto piuttosto l’atmosfera del “Nosferatu” di Murnau e il trucco iconico delle ribelli punk.

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Il b/n è uno dei “più” della pellicola

È fuori discussione che la giovane regista americana -ma di origini iraniane- sappia già il fatto suo, quantomeno tecnicamente.
Sono diverse le scene da cineteca, a partire da quella del dito in bocca, che abbina sensualità, ferocia e politica (si tratta pur sempre di un indice maschile), per arrivare a quella struggente dell’incontro tra i due protagonisti, in equilibrio precario tra la pulsione al morso e la tenerezza dell’abbraccio. Ciò che, però, sorprende di quest’opera è l’abbondanza di contenuti al di sotto della pur sempre piacevolissima patina formale.
C’è la vacuità del sogno americano, fatto di ciuffi à la James Dean, di skateboard e di pozzi petroliferi, che svuota le vite dei giovani, convincendoli che l’unica aspirazione da perseguire sia la ricchezza economica.

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La protagonista Sheila Vand

Ma soprattutto c’è una riflessione profonda sul ruolo della donna nella nostra società.
Ci sono ragazze viziate, che vivono nel lusso e si rifanno il naso per avvicinarsi ai modelli televisivi.
Donne disincantate alla ricerca di una propria identità, che sono costrette a prostituirsi per sopravvivere e vengono costantemente umiliate.
Altre donne più emancipate e fuori dagli schemi, che in realtà nascondono demoniaci segreti, non volando come pipistrelli, ma scivolando su vecchi skateboard con il loro hijab che sventola come un mantello.

Si tratta quindi di un’opera che, al di là dei riferimenti illustri, diventa molto difficile da “inquadrare”.
Ci sono i vampiri ma non è horror, ci sono i duelli ma non è western, ci sono le difficoltà della vita quotidiana ma non è neorealista. Non è certamente un film per tutti, questo è poco ma sicuro.

Ma chi cerca qualcosa di più dei soliti “spaghetti” e dei soliti cliché di genere non potrà che apprezzare l’estetizzante anticonformismo di A girl walks home alone at night.