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Venezia 76 – Babyteeth

Si può parlare con leggerezza del cancro in una ragazza di quindici anni, senza mai cadere nel pietismo o menzionare apertamente la malattia, raccontando allo stesso tempo una disfunzionale love story?
L’australiana Shannon Murphy ci riesce e realizza un film promosso a pieni voti, adattamento per il grande schermo dell’omonima opera teatrale del 2012 di Rita Kalnejais, qui  anche autrice della sceneggiatura.
I babyteeth, ovvero i denti da latte del titolo, sono quelli di Milla, quindicenne australiana che ancora ne possiede uno, mai caduto sebbene ormai abbia abbondantemente superato l’età limite.
In una stazione della metro Milla incontra Moses, giovane tossicodipendente dai modi bruschi ed eccessivi che ne attira subito la simpatia.

I genitori della ragazza non vedono di buon occhio la frequentazione della figlia con Moses, ma la accettano per un unico motivo: Milla è malata di cancro e con Moses sembra tornare ad accettare e a vivere la sua vita di quindicenne.
Il pregio della Murphy è quello di riuscire a raccontare con eleganza e delicatezza un tema difficilissimo, in cui è sottile il confine tra il melenso e la pietà eccessiva.
Dopo anni in cui siamo stati invasi da pellicole  con adolescenti in punto di morte e romanticismi strappalacrime, qui troviamo una storia d’amore quasi comica, incorniciata dalle dinamiche familiari di Milla che rendono la prima parte del film addirittura quasi una commedia grazie all’ottimo lavoro di Ben Mendelsohn e Essie Davis.
Il cancro di Milla appare nei suoi segni indelebili – la caduta dei capelli, le parrucche, ma alla fine diventa quasi collaterale e dimenticata nello sviluppo di una storia che si connette allo spettatori in un’immediata empatia. Milla cerca in Moses un aggancio alla vita che le sta sfuggendo di mano, benché sia consapevole che il ragazzo, perlomeno all’inizio, le sta vicino perché il padre di lei, psichiatra, può prescrivergli medicinali senza costringerlo a rubarli.
Tutti i personaggi della storia hanno la propria dimensione, legata all’inevitabile macigno della malattia di Milla eppure allo stesso tempo totalmente sganciata: ognuno si rapporta al proprio dramma personale in maniera diversa, attraverso situazioni tragicomiche dove assistiamo ad una famiglia, della quale ormai fa parte anche Moses, che si spezza ma non si piega di fronte al dolore di un evento così terrificante.

Il finale è il culmine coerente di una storia raccontata davvero con grande maestria, che speriamo possa strappare qualche premio alla Biennale.

 

Articolo a cura de La Sposa