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Venezia 75: Suspiria – La Recensione

Attesissimo a Venezia75, Suspiria è un film che attendevamo tutti.
Pubblico diviso sui giudizi, e per accontentare tutti, anche noi di JAMovie vi forniamo tre versioni del film di Luca Guadagnino.

La recensione de La Sposa: 

Susie Bannion arriva a Berlino dall’Ohio per un’audizione presso la prestigiosa scuola di danza di Madame Markos.
Il provino va a gonfie vele e la ragazza viene presa, diventando ben presto elemento di spicco della compagnia.
Ma cose strane accadono nella scuola tra incubi, visioni e la sparizione improvvisa di alcune studentesse su cui indaga il dottor Klemperer, psicologo che aveva in cura una delle ballerine scomparse.
L’attesissimo Suspiria di Luca Guadagnino, che torna al Lido due anni dopo A Bigger Splash, é un film di grandissimo impatto visivo nelle sue inquadrature raffinate e costruite con grande sapienza dal regista palermitano.
Il ballo Volk.
Ma quello che è chiaro fin da subito é  che questo Suspiria prende una propria strada ben definita, lontana dall’ iconico film del 1977.
Certo, la vicenda è similare e costruita per arrivare al risveglio della Mater Suspiriorum, ma Guadagnino crea un’atmosfera più da thriller che da horror mentre seguiamo la presa di coscienza di Susie all’interno dell’imponente edificio dell’Accademia, o le indagini delle ballerine Sarah e Patricia per scoprire cosa davvero si nasconde dietro la facciata di scuola di danza.
Solo sul finale si torna ad abbracciare la filosofia dell’originario Suspiria, in un rito esoterico danzato e ricco di sangue che, in un colpo di scena, segnerà il risveglio delle Streghe Madri.
C’è molto in questo Suspiria: molta femminilità, tutta quella dell’enclave dell’Accademia Markos che sbeffeggia gli uomini e si ribella ad essi.
C’è politica, con i continui riferimenti alla banda Baade-Meinhof e alle vicende dell’Olocausto, in una Berlino divisa dal Muro dove il male ancora striscia sottoterra e crea, probabilmente, terreno fertile per l’ascesa di madre Markos.
E c’è la danza, canalizzatrice di poteri arcaici attraverso le anime e i corpi delle giovani ballerine.
E ci sono interpretazioni straordinarie come quella di Tilda Swinton o delle giovani Mia Goth e Chloe Moretz.
Non c’é invece proprio colei che avrebbe dovuto prendere per mano il film, ovvero Dakota Johnson: la sua Susie, ingenua ma determinata ad ottenere ciò che vuole, rimane senza mordente per gran parte del film, alternando scene di ballo intense a sbalordimenti monoespressivi che nulla apportano al film.
Forse i puristi del primo Suspiria storceranno un po’ il naso alla visione di questo remake/omaggio, ma Guadagnino compie un ottimo lavoro, creando attraverso l’alchimia delle immagini un delirio visivo potente ed angosciante, nel rispetto di ciò che fu il capolavoro di Argento ma dandogli un’impronta personale raffinata e quasi barocca.

Peccato per l’occasione persa della Johnson, che si perde nel film più delle povere ballerine disperse nelle inquietanti stanze di specchi delle sale prove.

Voto : 4 / 5

 

La Recensione di Matteo Arfini 

Consacrato nella rosa dei grandi nomi del cinema internazionale grazie al coming of age movie Chiamami con il tuo nome, il regista Luca Guadagnino spiazza il pubblico della 75esima  Mostra del Cinema di Venezia con il suo controverso e  personalissimo Suspiria libero adattamento del cult di Dario Argento del 1977.

Richiamandosi infatti solo in parte e in modo frammentario all’originale, Guadagnino costruisce un’opera complessa e satura di contenuti, che trascendono la limpida e volendo più banale struttura dell’horror canonico.
L’ambientazione berlinese di fine anni settanta (lontana dalla grottesca e barocca Friburgo) condisce la pellicola di un tacito, ma ridondante e costante richiamo ad eventi storico-politici dell’epoca: dalle rivolte e i disordini sociali per il sequestro Schleyler, fino allo spettro pressante del nazismo legato alla struggente vicenda dello psichiatra che si prende carico dell’indagine sulle presunte streghe della scuola di danza.

Il regista palermitano non è interessato allo spavento facile e fine a se stesso.
Egli preferisce architettare un film che concentra il macabro in poche scene cruciali (due delle quali veramente disturbanti e protratte quasi al limite oltre che dilatate nel tempo), ma che al tempo stesso riesce a sviluppare un senso d’angoscia crescente che si insinua dentro e fuori dallo schermo minuto dopo minuto.

E il mezzo attraverso il quale esprimere il male, il diabolico e la forza distruttiva dell’uomo diviene la danza, l’arte fisico-corporale per eccellenza in grado di far scaturire attraverso la corrispondenza maieutica allievo-maestro, l’energia e l’identità, anche mostruosa celata nell’intimo essere di ognuno.
La stessa corrispondenza che si crea tra la tenebrosa Miss Blanc (Tilda Swinton) e la nuova ballerina americana Susie (Dakota Johnson), attratta e sedotta (sottesi ma onnipresenti sono le allusioni alla tematica erotica) dalla danza, così come dal peccato, da un demone interno, nascosto e temporaneamente latente.

Le coreografie rituali ed espressive, le melodie liriche, tenui e apparentemente (ma volutamente) fuori luogo di Thom Yorke costituiscono il file rouge di una pellicola ambiziosa, che osa e azzarda una miscellanea di spunti e riflessioni sulla storia, la politica (tra le streghe che fumano e leggono i quotidiani, vi è addirittura una scissione interna e due fazioni opposte), il rapporto madre-figlia, il mistico, lo splatter e la trovata autoriale. Ma alla fine la carne al fuoco risulta fin troppa.
Nulla è chiarito apertamente.
Nulla concluso.
Forse questo era il fine del regista: accendere la fiamma e lasciar divampare l’incendio  senza meta o direzione, suscitando sgomento, apprensione più che paura.

Pur apprezzando dunque l’eleganza tecnica, gli irruenti movimenti della cinepresa, la cura per il dettaglio, a partire da una patina cromatica scialba e sbiadita (tutto il contrario del kitch led di Dario Argento), Suspiria lascia attoniti, confusi e profondamente spaesati.
Le due ore e mezza filano in maniera magistrale, diluite sapientemente in vari atti e trame parallele, ma la storia non viene spolpata fino all’osso, tantochè usciti dalla sala rimane il dubbio, l’interrogativo irrisolto sul cuore della vicenda, su un messaggio solo accennato e mai approfondito.

Il meccanismo audace e raffinato della storia, nonostante la capillare supervisione del regista, rischia di incastrarsi nei propri medesimi ingranaggi, spinto da una forte ambizione sperimentale (questo film è sicuramente un vero unicum), e da una altrettanto convinta volontà di stupire, scioccare e colpire.
Di conseguenza Suspiria risulta più riuscito nei singoli momenti, nell’originalità e nell’attenzione, maniacale posta nelle sequenze di danza e non, curate nel dettaglio sotto ogni punto di vista.
Le coreografie dei balli corali sono impeccabili ed inquietanti, trasudano la  carnalità e fisicità del corpo come strumento del male, le riprese magnifiche, ma l’insieme, il puzzle finale risulta confuso e incompleto.

Nonostante tutto Guadagnino pare  sicuro delle proprie scelte, e azzarda un prodotto polimorfico che nella possibilità e nel potenziale di poter puntare in alto, lo fa solo in alcuni frangenti, aggirando, chissà se per una scelta anche astuta, l’obiettivo.
Una cosa però è certa: l’effetto sorpresa è assicurato e in un modo o nell’altro non si uscirà dalla sala a bocca asciutta.

La Recensione di Giuseppe ‘Ndujia Silipo

TREMATE, TREMATE, LE STREGHE SON TORNATE.

Nel 1977 a due anni dal successo di Profondo Rosso, esce nelle sale italiane, Suspira, sesta prova del maestro dell’horror Dario Argento. Nello stesso anno la Banda Baader-Meinhof (anche se Ulrike Meinhof era morta da pochi mesi) rapisce a Colonia il presidente della Confindustria tedesco-occidentale Hanns-Martin Schleyer; già membro del Partito Nazista.
Nel 1977 Luca Guadagnino è un bambino di sei anni che vive in Etiopia e si appresta a tornare a Palermo, nella sua città d’origine.
Dakota Johnson nel 1977 non è neanche nei pensieri della madre, una giovane Melanie Griffith, che sta muovendo i primi passi nel cinema.
Ed è proprio nel 1977 che viene ambientata la storia di Suspiria. C’è sempre una scuola di danza, cambia la città e con Guadagnino ci trasferiamo da Friburgo a Berlino. C’è un perché, non è una scelta casuale. Le musiche non sono dei Goblin di Simonetti ma di Thom Yorke.
Poi tante altre piccole e grandi differenze, ma non c’è un modo giusto o sbagliato per fare un remake, non esiste un codice. Una cosa però è certa, al regista palermitano non sembra interessare affatto Argento.

Il suo non è neanche un rendere omaggio, anzi sembra quasi una sfida. Una dissacrante operazione di destrutturazione narrativa e visiva. Ad esempio il rosso è il colore ancestrale per eccellenza nel cinema horror e nel Suspiria di Argento fa elegante pendant con lo stile boho. Nel film di Guadagnino il rosso non esiste, e la pellicola viene completamente desaturata diventando “cinquanta sfumature di seppia”, volendo ammiccare a Dakota.

Sembra una dichiarazione d’intenti poiché il Suspiria di Guadagnino è un opera di testa. Non è cinema di genere e non vuole compiacere lo spettatore, tanto meno quelli che amano l’horror. Anzi, se si escludono un paio di scene, Suspiria ’18 non è proprio un film horror.

Piuttosto la pellicola è un incrocio tra Andrzej Żuławski (impossibile non ripensare alla Adjani di Possession) e la visceralità del femminino refniano di The Neon Demon (non fosse ovviamente per i colori).
Ma anche Il bacio della pantera di Tourneur, il Dies irae di Dreyer e, come confermato dallo stesso Guadagnigno, tanto ma tanto Fassbinder. In particolare Deutschland im Herbst un docu-film collettivo dove guarda caso torna il rapimento Schleyer, il dirottamento di un aereo Lufthansa da parte dell’Olp e le sospette morti in carcere dei membri della Baader-Meinhof .

Quindi si, Suspiria ’18 è un film sulle streghe, sulle donne, sulle madri, ancestrale, uterino e come tutti i film di Guadagnino, profondamente femminista. Coraggiosamente femminista in un genere storicamente poco incline ad esserlo.

Ma, c’è un ma.
C’è un traccia, neanche tanto nascosta. Un sub-plot politico che parla di gruppi eversivi di estrema sinistra negli anni di piombo, della strategia della tensione. Gli anni in cui le Br, non più sotto la guida di Curcio e Franceschini, si apprestavano a diventare il nemico numero uno per l’Italia.
Quello di Guadagnino non è solo una pennellata di colore, contestualizzazione storico politica e il pentacolo, simbolo di fertilità, rovesciato del satanismo, rimanda alle Brigate Garibaldi, all’Armata Rossa sovietica, ai guerriglieri uruguaiani Tupamaros, alle Br e ovviamente anche alla Rote Armee Fraktion.

Quando la mattina del 20 maggio del 1999, venne assassinato il giurista Massimo D’Antona e quel simbolo ritornò a far paura, alcuni giornali scrissero la frase “le streghe son tornate”, che guarda caso proprio negli anni settanta era stato uno degli slogan principali del movimento femminista italiano.
Il cerchio si chiude.