Jackie

Sezione: Venezia 73


Un proiettile che spazza via non solo un uomo, ma il suo pensiero, la sua essenza, un aspetto che la First Lady Jacqueline Kennedy cerca di preservare raccogliendo brandelli del cervello del marito John.

Pablo Larraín in Jackie cerca di ritrarre il volto e l’anima di una donna nei giorni immediatamente seguenti all’assassino del marito, il presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy. L’atmosfera tenue, pacata, nonostante il tragico evento, si manifesta chiaramente nella struttura di Jackie. Una nota malinconica e pressante accompagna i movimenti, le emozioni di una donna spaesata e alla ricerca del modo migliore di onorare il marito. L’intervista, i funerali da preparare, un paese in ginocchio che pare aver ansia di liberarsi della figura del comandante in capo caduto.

Lei no, non ha fretta, deve piangere, sentire dentro di sé e guardare sul vestito candido indossato quel 22 novembre 1963 a Dallas il colore della morte, la fine di un regno non ancora concluso.
Come preservare il cammino del marito, celebrandolo in grande stile o in tono dimesso? Pablo Larrain imposta la narrazione su tale quesito raffigurando una donna controversa, una regina senza più trono disegnare l’ultimo capitolo di un uomo che rischiava di cadere nell’oblio. E Natalie Portman infonde sullo schermo tutta l’eleganza, il fascino della first lady raffinata quanto enigmatica, capace di rendere collettiva la tristezza, l’angoscia di un dramma personale sublimando l’atroce immagine di un cervello martoriato per elevare a mito, quasi a martire la persona di John.

Oltre alla ricerca della conoscenza di una regina riservata Jackie non inseguendo l’oggettività restituisce con candore per mezzo degli incontri, dei brevi attimi, degli sguardi  l’identità di una donna che fece del  percorso di John F.Kennedy, oltre che del proprio, alla casa bianca non una sbiadita parentesi, creando una leggenda e nel farlo lei divenne un’icona  anziché la vedova triste di una storia che rischiava di perdere il suo barlume di gloria.

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Redattore

- Il cinema per me è come un goal alla Del Piero, qualcosa che ti entra dentro all'improvviso e che ti coinvolge totalmente. È una passione divorante, un amore che non conosce fine, sempre da esplorare. Lo respiro tutto o quasi: dai film commerciali a quelli definiti banalmente autoriali, impegnati, indipendenti. Mi distinguo per una marcata inclinazione al dramma, colpa del Bruce Wayne in me da sempre. Qualche gargamella italiano un tempo disse che di cultura non si mangia, la mia missione è smentire questi sciacalli, nel frattempo mi cibo attraverso il cinema, zucchero dolce e amaro dell'esistenza -