Durante questa edizione del cinema di Venezia, un doveroso omaggio al recentemente scomparso Cimino, regista caduto in disgrazia ben prima della sua morte.
E’ storia il biblico flop del suo I cancelli del cielo, disprezzato da critica, pubblico e costato il fallimento alla casa produttrice e una piena carriera a Cimino, le cui opere successive si contano sulle dita di una mano.
Una di queste è Year of the Dragon, riproposto a Venezia e avente protagonista Michey Rourke al pieno della sua bellezza e fama (prima di passare alla sua fase ‘alternativa’, fatta di Orchidea Selvaggia, droghe, pugilato e un tardivo ritorno al cinema).
Stanley White è razzista, arrogante, disilluso, un uomo sulla quarantina con un tormentato passato nel Vietnam e un matrimonio alla deriva nel presente; ma è anche un agente forte, incorruttibile, privo di compromessi; forse l’unico a poter venir a capo del marcio in Chinatown.
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Come avrete letto, Stanley è il paradigma del poliziotto hard-boiled, fatto di modi rudi e di sostanza. Lo stesso non si può dire della pellicola, che, pur presentando scatti di violenza spinta e frenetica, è permeata da un senso di melodramma -non inaspettato, con Cimino- che si rispecchia nella figura tragica di Stanley, dannato per la sua missione, e nei comprimari che inevitabilemente si bruciano standogli vicino.
Allo stesso modo, tutt’altro che rude la forma: vi è una cura per le scene e i colori che rendono Year of the Dragon uno spettacolo per gli occhi, non sfigurando minimamente in alta definizione dopo 31 anni suonati.
Impossibile non consigliarne la visione; potreste approfittare di una nuova, esclusiva versione che è senz’altro destinata ad aumentare di valore nel tempo (amazon.fr)