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Un Giorno di Pioggia a New York – La Recensione

Capitolo 1 “Lui adorava ancora New York. La idolatrava smisuratamente…” Ah no, è meglio “la mitizzava smisuratamente”, ecco. “Per lui, in qualunque stagione, questa era ancora una città che esisteva in bianco e nero e pulsava dei grandi motivi di George Gershwin..

o anche As Time Goes By che Sam suonava in Casablanca. “You must remember this”, parafrasando la celebre canzone, “Devi ricordare che un bacio è ancora un bacio, un sospiro è ancora un sospiro, le cose fondamentali rimangono, anche con il passare del tempo”.

Cosa c’è allora di meglio che tornare a casa, a Ny e parlare di amore, mettendo in scena una storia che sembra un Bignami della trilogia manhattaniana (espressione che fa il verso a quella di Paul Auster, altro cantore della Grande Mela).

Io e Annie (1977), Manhattan (1979), Hannah e le sue sorelle (1986). Certo ce ne sono stati altri, ma questi tre meglio rappresentano le nevrosi di un autore e dei contrastanti sentimenti dei suoi personaggi. “È molto, molto difficile mettere d’accordo cuore e cervello. Pensa che, nel mio caso, non si rivolgono nemmeno la parola”.

Gatsby Welles (Timothée Chalamet) è uno studente dello Yardley College, è romantico, già un po’ vecchio per la sua età, fuma la sigaretta col bocchino, ascolta Cole Porter, ama i difetti di Ny come fosse un anziano rabbino di Coney Island. Gatsby appartiene ad un epoca passata, nostalgica.

Quindi c’è la sua provocante fidanzatina Ashleigh, interpretata da una bravissima Elle Fanning (una Jesse di The Neon Demon solo un po’ più burrosa). La studentessa di Tucson, tipica pon pon girl texana, deve intervistare il regista Roland Pollard (Liev Schreiber). Per i due ragazzi è un’ottima occasione per un romantico week end nella Grande Mela. Ma tra decine di imprevisti, vecchie e nuove conoscenze, i due non riescono quasi mai a vedersi, prendendo due strade diverse.

“A Rainy Day in New York” sembra un film nato da un profondo sfinimento creativo. Gli argomenti trattati nel film sono stati triti e ritriti da Allen 40 anni fa e nulla è cambiato.

E’ talmente tutto uguale da rendere la pellicola anacronistica. Come fanno due giovani millennials ad essere così identici a due adolescenti degli anni ’70 o ’80? Sembra che il tempo per Woody non sia passato e questo rende obsolete anche le dinamiche tra i suoi personaggi. Poi ci rifletti sopra ancora un secondo e pensi: e se fosse voluto? Se Allen avesse giocato con questa asincronia proprio per dirci quello che ha scritto Herman Hupfeld nel ’31: “le cose fondamentali rimangono, anche con il passare del tempo e un bacio è sempre un bacio”?

Allen ci sta raccontando la stessa cosa è vero. Non è la prima volta che lo fa, in fondo anche Match Point l’aveva già girato nel 1989 e si chiamava Crimini e misfatti. Ma poi che importa? Non troverete niente di nuovo in questo acquazzone newyorkese. “Nessuno, neanche la pioggia ha così piccole mani” diceva in Hannah e le sue sorelle, citando E.E. Cummings.

“Senti, non dovresti consigliarti con me quando si tratta di rapporti con le donne. Io sono il vincitore del August Strindberg Award”.

Nel 1979 Allen chiamava in causa la misoginia del grande romanziere e drammaturgo svedese. Il regista ci scherza sopra, se lo può permettere un autore che in 40 anni di carriera ha realizzato i più complessi, affascinanti e intimamente femministi portrait delle donne newyorkesi, dalla sionista castrante, al Viso di Tracy. Oggi Allen scrive un film dove tutte le figure femminili hanno praticato o praticano il mestiere più antico del mondo. Nella migliore delle ipotesi hanno una risata insopportabile. Per un attimo, sembra che la penna del regista sia furiosa con tutto l’universo femminile (e anche coi giornalisti) che ha messo il regista in mezzo ad un processo mediatico, capace di castrarlo artisticamente, costringendo A Rainy Day in New York ad improbabili anteprime polacche (con tutto il rispetto).

Ma per fortuna è solo un attimo, perché al Central Park (Spoiler Allert), il giovane e disilluso Gatsby, che ha mollato Ashleigh, rea tra le tante cose di aver scambiato Cole Porter con Shakespeare, incontra la bella Shannon (Selena Gomez). Per lei Allen scrive forse la parte migliore del film, volutamente senza una parabola, ma con le battute migliori. “La tua ragazza è di Tucson? Di cosa parlate, di cactus?”

Alla fine l’amore trionfa con un meraviglioso bacio, perché “le cose fondamentali rimangono, anche con il passare del tempo”.

Quindi alla fine tirando le somme A Rainy Day in New York è un film già visto, autocitazionista, derivativo e forse vagamente misogino(it’s a joke!). Eppure passi un ora e mezza in pace col mondo e tutti i pensieri vanno via, come se stessi vedendo un vecchio film dei fratelli Marx. Ed è allora che capisci una cosa fondamentale:

Quanto è stato grandioso rivedere Woody, no?
“Mi resi conto che artista fantastico era – e di quanto fosse divertente solo conoscerlo… e io pensai a quella vecchia barzelletta, sapete… quella dove uno va da uno psichiatra e dice:
“Dottore, mio fratello è pazzo. Crede di essere una gallina.”
E il dottore gli dice: “Perché non lo interna?”
E quello risponde: “E poi a me le uova chi me le fa?”
Beh, credo che corrisponda molto a quello che penso del rapporto tra me e i film di Allen. E cioè che sono assolutamente irrazionali, anacronistici e ripetitivi… ma credo che continuino a piacermi perché la maggior parte di noi ha bisogno di uova.