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The Zero Theorem

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Senza fretta, arriva nelle sale italiane the Zero Theorem, la fine della trilogia distopica del caro Gilliam

The Zero Theorem è l’ultimo di Gilliam, e di nuovo ambientato in un futuro distopico visto dagli occhi di Leth, squinternato mago del computer dipendente della classica mega-corp dai vari sentori dittatoriali che vive in un monastero sconsacrato, parla di sè in prima persona plurale e desidera ardententemente lavorare a casa, perchè aspetta, letteralmente, la telefonata della vita, quella che dovrebbe attribuirgli un senso.

Se non si fosse capito, non scrivo col solito amore di un film che è sì di Gilliam, ma sa tanto di già sentito (non dico di visto: su tale livello resta geniale e capace di stimolare il cervello come sempre). Il vero difetto sta forse nel poco approfondimento dei personaggi, ed è un peccato; oltre a un Waltz come sempre impagabile, Melanie Thierry vi farà tornare credenti ogni volta che comparirà su schermo.

Quello che accumuna di più TZT alle altre due pellicole della ‘trilogia distopica’ è quella malinconia che lascia alla fine, pur avendo l’ironia che mai manca di Gilliam, e disponendo di un finale leggermente più ottimista dei precendenti ( se accettare il proprio stato è la cosa più vicina a un happy ending ).

Da menzionare la versione di Creep di Souza, davvero mistica

 

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Direttore e Fondatore

Il lavoro e la vecchiaia incombono, ma da quando ho memoria mi spacco di film di fantascienza, dove viaggio di testa fino a perdermi, e salto in piedi sul divano per dei tizi che si menano o sparano alla gente come fossero birilli. Addolorato dalla piaga del PG­13, non ho più i nervi per gli horror: quelli li lascio al collega, io sono il vostro uomo per scifi, azione e film di pistolotti metacinema/mental/cose di finali tripli.