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Revenant – Redivivo: un altro masterpiece di Inarritu

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Innaritu, dopo averci regalato un film da Oscar quale Birdman, questa volta potrebbe con The Revenant portare l’ambita statuetta a casa Di Caprio.

Mai titolo fu più azzeccato nel riassumere le vicende di Hugh Glass, leggendario cacciatore di pellicce realmente vissuto nell’ America dell’ ‘800; un’ America a dir poco ostile, fatta di temperature glaciali, natura selvaggia e mani indiane pronte a prenderti lo scalpo.

Inarritu, coaudivato dall’incredibile fotografia di Lubezki (uno che ha fatto cosine come I figli degli uomini, Gravity, Birdman) riesce a portarci il dolore e il freddo glaciale fino alle nostre vene, ossa di spettatori; l’impronta del regista è ineccepibile, e già dal primo, violentemente glorioso piano-sequenza ci ricordiamo con chi abbiamo a che fare.

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No, non è Sepolto vivo

La storia di Glass è nota ai più: ferito mortalmente da un grizzly, l’inarrestabile trapper verrà abbandonato dal suo gruppo e vedrà Fitzgerald (un Tom Hardy subdolamente fuori di testa) togliergli tutto ciò che gli è più caro, senza che Glass possa muovere un muscolo; ma il desiderio di vendetta sarà più forte delle orribili ferite, della febbre, delle terre selvagge e dei letali indiani Arikara.

Sebbene il resto del cast sia di tutto rispetto, il film è totalmente sorretto sulla spalle dell’interpretazione di Di Caprio, che definire fisica è eufemistico, e sul coinvolgimento dato dalla convergenza di fotografia, regia, colonna sonora (che nel climax sembra richiamare Birdman). The Revenant è un film duro, durissimo; non vi sono dubbi che è stata un’esperienza estenuante per chi ne ha permesso la realizzazione, ma sarete quantomeno scossi anche voi di fronte ad alcune scene: lo scontro col Grizzly è semplicemente terrificante, ed è ancor più impressionante se si pensa che l’animale è in CGI.

A rischio di esser banale, The Revenant è il perfetto esempio di come non sia tanto importante la meta, dato un finale abbastanza ovvio nelle azioni ma più interessante nelle amare riflessioni che ne conseguono. E’ invece il viaggio a lasciarci stregati; certamente Glass non la penserebbe allo stesso modo, ma è la sua epica sopravivvenza nell’ Outback a renderlo indimenticato.

 

 

 

 

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Il lavoro e la vecchiaia incombono, ma da quando ho memoria mi spacco di film di fantascienza, dove viaggio di testa fino a perdermi, e salto in piedi sul divano per dei tizi che si menano o sparano alla gente come fossero birilli. Addolorato dalla piaga del PG­13, non ho più i nervi per gli horror: quelli li lascio al collega, io sono il vostro uomo per scifi, azione e film di pistolotti metacinema/mental/cose di finali tripli.