Home Rubriche Horror The Golem, recensione dell’horror di Doran e Yoav Paz

The Golem, recensione dell’horror di Doran e Yoav Paz

Golem

Buffo come oramai, nel catalogo internazionale di film horror, faccia tendenza il folclore. Ambientazioni seicentesche, villaggi isolati, colonie maledette: miti terrificanti. Proprio come Yoav e Doron Paz hanno raccontato col loro The Golem, film horror distribuito dalla piattaforma Netflix.

Il duo, che ha già affrontato il genere con Jeruzalem nel 2015, si pone l’obbiettivo di riproporre una delle prime leggende messe su pellicola: quella del golem. Figura simbolo del medioevo e della mitologia ebraica, il Golem viene qui proposto in chiave atipica e ”carnale”. Differentemente dall’omonimo film espressionista del 1915 di Paul Wegener, la creatura ultraterrena rappresentata dai fratelli Paz non si presenta come un gigante d’argilla.

Proprio questo è il progredito escamotage, o meglio l’elemento scaltro, con cui fanno leva non solo sui sentimenti umani, ma anche su innumerevoli prevedibilità.

Golem

Il villaggio esposto dai Paz è un paesello perseguitato, intimidito, sottoposto costantemente a luttuose perdite. La lotta per la sopravvivenza è la sola forza matrice di ogni membro della comunità rustica ebrea. La componente femminile, invece, appare sottomessa al sistema patriarcale, a cui però si ribella la tenace e audace Hannah.

Proprio dalla ribellione è scaturita una forza maligna facilmente accostabile al Caos, camuffata, però, dall’immago della purezza.

Golem

Tale oscura mascheratura altro non è che il mezzo fisico-non fisico che collega il passato del posto (la perdita del figlioletto di Hannah e Benjamin) al suo imminente futuro.

Difatti, l’arma evocata da Hannah per combattere le forze nemiche della colonia prende il volto del defunto bambino Joseph. Scelta azzardata quanto facilmente intuibile, che crea una maggiore rievocazione di memorie e attimi di pura drammaticità. L’intento (apparentemente quasi politico) di affondare le radici nell’interiorità di una donna e madre del XVII secolo troppo ostinata e forte per essere asservita alla collettività maschile, è coraggioso quanto ben trattato.

Ciò anche grazie all’impressionante e vivida performance della bergmaniana Hani Furstenberg, che dà vita a una risoluta, femminea arma letale. 

Golem

Eppure non bastano gli echi atmosferici a Robert Eggers e quelli sovrannaturali al recente Aterrados. Oppure l’alto livello attoriale del cast, le notevoli e ardite sequenze di gore e l’alto budget di partenza. Né tantomeno la fastosa messa in scena adornata da una splendida fotografia e la solenne soundtrack di Tal Yardeni. Niente di tutti gli elementi sovrascritti, positivi quanto interessanti, riesce a salvare la storia da un epilogo deludente ed inefficace.

Peccato per le buone intenzioni e gli incantevoli propositi iniziali. Perché i Paz, nonostante l’ausilio di fattori pregevoli, non sono in grado di rendere l’opera migliore di quel che dimostra essere: sufficiente. E non è detto che la sufficienza raggiunta appaghi il pubblico superficiale, o ancor meno quello più esigente.