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Takara – La notte che ho nuotato – La Recensione

Il nome Takara in giapponese vuol dire “tesoro”. C’è un film, purtroppo perduto che risale al lontano 1929, firmato dal maestro del realismo nipponico Yasujirō Ozu e s’intitola Takara no yama che più o meno vuol dire Il tesoro della montagna. E proprio in una fredda, imbiancata e remota montagna del Giappone è ambientato questo piccolo gioiello muto dal titolo Takara – La notte che ho nuotato.

Un bambino di otto anni si aggira per le strade di una piccola cittadina come fosse un Buster Keaton in miniatura. Cerca di consegnare al padre un disegno che ha fatto per lui. L’uomo però è sempre a lavoro, in giro con il camion a consegnare pesce. E allora il piccolo e tenero bambino decide di avventurarsi alla ricerca del papà. Non interagisce con nessuno, di tanto in tanto scatta qualche fotografia, che però alla fine torneranno sorprendentemente utili per la sua ricerca. I suoi movimenti sono goffi e simpatici. Spesso casca per colpa della neve. Risuona nell’aria un piccolo Rhodes (o qualcosa di simile) suonato da Jérôme Petit che intona il celebre motivo de La Primavera di Vivaldi. Il che fa da contrasto con il gelo invernale in cui è immerso il piccolo. Di fatto non accade nulla. Di fatto non c’è neanche un dialogo, non una parola in una storia silenziosa e in un film completamente muto.

Nel film non ci sono twist o climax. Solo un’avventura che sembra uscita da un racconto per bambini. Tutto ripreso come fossimo ancora nella Silent Era, quella di Keaton appunto o di Chaplin. A questo tipo di cinema s’ispirano i due registi di questo piccolo esercizio di stile tanto elementare quanto evocativo.

La pellicola porta la firma a quattro mani dal francese Damien Manivel giovane autore di Un jeune poète, premiato a Locarno pochi anni fa e dal giapponese Kohei Igarashi, anche lui poco più che trentenne autore di Hold Your Breath Like a Lover nel 2014. I due si sono innamorati di questo tenero bambino-attore e hanno deciso di riprenderlo alle prese con la sua goffa ricerca del padre. Una pellicola situazionista che diverte per le trovate slapstick del protagonista. Corrispettivo cinematografico di un haiku giapponese, la pellicola fa innamorare lo spettatore dall’inizio alla fine per la semplicità e l’onestà dell’intento dei due registi. Le riprese sono sempre curate e statiche per enfatizzare il distacco emotivo, volto ad accentuare il realismo documentaristico della pellicola. In tutti le esterne a farla da padrona è la neve, bianca e candida come, metaforicamente si vuole intendere, la genuinità e la purezza del piccolo eroe.

La scoperta del mondo e della vita attraverso gli occhi immacolati di un bambino di otto anni, ma soprattutto un spettacolo per quelli dello spettatore.

Distribuito dalla Tycoon Distribution, il film esce in sala il 23 maggio.