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T2: Trainspotting, o della malinconia d’invecchiare

T2

Sono passati 20 anni da Trainspotting, e se da una parte era inevitabile avere dei dubbi su un’operazione simile, dall’altra non si poteva nascondere un certo hype nel sapere che avremmo rivisto Renton, Sick Boy e soci.
T2 l’ho visto, e non mi é piaciuto.

Non ha senso confrontarlo con l’originale, un film funzionale a sé laddove il seguito è davvero poco significativo senza l’affetto degli spettatori ai personaggi; il problema è quando si ostina proprio il suo regista, Boyle stesso, a fare questo errore.  La condanna di T2 a uscirne con le ossa rotte è quindi implacabile.

Lo si vede in Renton che ride dopo esser caduto dal cofano di un auto (sopra i quarant’anni, ferito, braccato, ma soprattutto senza il minimo indizio che ciò lo faccia sentire vivo..); ma la sequenza che più di tutte condanna T2 all’impietoso confronto è Choose Life. Un dialogo potente nel ’96, qui snaturalizzato, spiegato a livello storico, e forzato, poco sentito.
In T2 Choose Life è frutto di una domanda.

É un vero peccato, laddove buoni spunti vengono affossati da personaggi interi, quasi fuori luogo: l’evoluzione di Spud e le sequenze allucinanti a esso legate sono perlomeno specifiche di T2; ma è di questo seguito anche la bellezza e giovinezza di Veronika, davvero aliene nel team di tossici.

Quello che resta quindi è il buon finale, perlomeno a livello visivo; ma è emblematica la scena di Spud, melanconico, che ricorda i ‘bei’ tempi andati, con un abbozzo di Born Slippy. Nuxx, ma che in realtà non lo è. Un po’ come per T2 e il suo predecessore.

E allora… Lasciamoci con il NOSTRO finale e piangiamo: