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Storia del cinema dell’Estremo Oriente: gli anni ’50

CAPITOLO 5. GLI ANNI ’50: IL CINEMA POSTBELLICO GIAPPONESE, LE BASI DEL CINEMA COREANO E LA POLITICA DI MAO IN CINA

6 agosto 1945. Sono passati circa quattro anni da quando il Giappone ha attaccato Pearl Harbor e gli Stati Uniti decidono di mettere la parola fine alla guerra. 6 agosto 1945. Il Giappone cade in ginocchio sotto i colpi di una bomba atomica: Hiroshima viene rasa al suolo. Pochi giorni dopo è il turno di Nagasaki, anch’essa distrutta da una seconda bomba. Il 2 settembre 1945 il Giappone si arrende e, così, ha fine la Seconda Guerra Mondiale. Questi traumatici eventi avranno ripercussioni sull’ambiente culturale giapponese per molti anni a venire e, infatti, si svilupperà quello che viene definito come cinema hibakusha, ovvero quel cinema che esamina gli effetti del disastro nucleare sugli hibakusha (i sopravvissuti alle bombe atomiche), il cui primo esempio è I bambini di Hiroshima (Genbaku no ko) di Shindō Kaneto.

Un frame di “I bambini di Hiroshima” di Kaneto Shindō.

Durante gli anni dell’occupazione americana, iniziata con la resa giapponese, il cinema viene pesantemente limitato dalla censura, che vieta ogni argomento anti-americano o controverso, come la questione razziale, ma questa situazione ha permesso un’esplosione ed una rapida espansione cinematografica giapponese, dopo il Trattato di San Francisco del 1951, che sancisce la liberazione del Paese, con l’eccezione di Iwo Jima. Negli anni ’50, infatti, si diffondono il formato panoramico e il Fujicolor, comparso la prima volta nel 1951, e nasce la Toei, che ben presto si afferma come la più prolifica e redditizia casa cinematografica giapponese. È in questo periodo che il cinema nipponico si espande all’estero, grazie anche all’operato del capo della Daiei, Nagata Masaichi: il successo internazionale ha inizio con la vittoria dell’Oscar per il miglior film straniero e del Leone d’oro a Venezia di Rashōmon di Kurosawa Akira nel 1951 e, con il passare degli anni, il Giappone assume una sempre maggior importanza nel panorama cinematografico mondiale, con capolavori del calibro de I racconti della luna pallida d’agosto (Ugetsu monogatari) di Mizoguchi Kenji. Il cinema giapponese, tra gli anni ’50 e ’60, è stato così internazionalmente apprezzato che ben sei film nipponici sono stati candidati all’Oscar (L’arpa birmana, Biruma no tategoto, di Ichikawa Kon, 1957; Amore immortale, Eien no hito, di Kinoshita Keisuke, 1962; Koto, Nakamura Noboru, 1964; La donna di sabbia, Suna no onna, di Teshigahara Hiroshi, 1965; Kwaidan di Kobayashi Masaki, 1966; Ritratto di Chieko, Chieko-shō, di Nakamura Noboru, 1968). Il jidaigeki riconquista la sua primaria importanza nel panorama nipponico, dopo esser stato proibito durante l’occupazione statunitense, con capolavori immensi del genere usciti proprio in questo periodo, come I sette samurai di Kurosawa.

Il film che ha raccontato l’orrore atomico nel modo più spettacolare ed originale è un kaiju eiga (film di mostri giganti), Godzilla (Gojira) di Honda Ishirô, del 1954, un atto di denuncia contro la guerra atomica che mette in scena l’ira della natura che si scatena contro l’essere umano: infatti, Gojira, un enorme dinosauro anfibio che vive tranquillo in una grotta sottomarina, viene disturbato dall’esplosione di una bomba atomica nell’ambito di un test e, per questo, decide di ribellarsi contro il Giappone, seminando distruzione e morte, mettendo alle strette l’umanità che gioca a fare Dio. Tuttavia, è Kurosawa Akira il più grande autore giapponese postbellico e già durante la guerra ha realizzato dei film fortemente sociali, tra i quali ricordiamo: Waga seishun ni kuinashi, Non rimpiango la mia giovinezza, del 1946, un film politico sul Giappone militarista; Yoidore tenshi, L’angelo ubriaco, del 1948; Nora inu, Cane randagio, del 1949. È solo negli anni ’50, comunque, che il regista comincia a realizzare i suoi massimi capolavori, come Ikiru (Vivere) del 1952, ad avvicinarsi al jidaigeki, Shichinin no samurai (I sette samurai) del 1954, e a dedicarsi ad adattamenti di opere shakespeariane, come Komunosu-jō (Il trono di sangue, adattamento del Macbeth) del 1957.

Shimura Takashi in “Vivere” di Kurosawa Akira, uno dei migliori film post-Seconda guerra mondiale.

Con lo scoppio della guerra civile, nel 1950, la produzione cinematografica coreana ha vissuto un brusco rallentamento che ha quasi estinto il cinema del Paese ed il cuore del cinema coreano, durante la guerra, si sposta al sud in città come Busan e Daegu. Dopo la fine della guerra (1953), finalmente, la produzione filmica comincia ad espandersi: se, infatti, tra il 1945 ed il 1955 sono state fatte pochissime decine di film, a partire proprio dal ’55 il numero di pellicole realizzate comincia a crescere (Lee Young-Il, nel suo saggio “The history of Korean cinema: main current of Korean cinema”, definisce gli anni 1955-60 come “revival period”), passando da appena 15 film prodotti nel ’55 ai 108 del 1959, la maggior parte dei quali appartiene alla tradizione del melodramma. Uno dei migliori esempi è Chunhyang jeon (La storia di Chunhyang, del 1955), diretto da Lee Gyu-hwan, che racconta la storia di una donna che prova a rimanere fedele al fidanzato, momentaneamente assente per degli esami, nonostante le avances di un corrotto governatore che arriva addirittura a torturarla quando Chunhyang decide di resistere e non soccombere al suo volere. Il fidanzato, tornato a casa dopo aver superato gli esami ed essere diventato un investigatore, riesce a fermare il governatore e a salvare la fidanzata. Questo film è fondamentale per la storia del cinema coreano perché dà la spinta definitiva allo sviluppo di una vera e propria cinematografia del Paese, che, tuttavia, dovrà attendere gli anni ’60 per cominciare ad avere una reale importanza nella storia del cinema. Ad ogni modo, la seconda metà degli anni ’50 non solo corrisponde ad un incremento delle produzioni cinematografiche ma anche ad un aumento dell’affluenza nelle sale: riprendendo l’esempio del succitato La storia di Chunhyang, questo film, nella sola Seul, ha venduto oltre 200.000 biglietti, circa un decimo della popolazione cittadina. Un altro grande successo di questi anni è Jayu buin (Una donna libera o Madame Freedom), del 1956, diretto da Han Hyung-mo, che segue le vicende extraconiugali di un professore e di sua moglie, che lavora in una boutique. Si tratta di un film oggettivamente poco interessante da un punto di vista puramente stilistico, tuttavia risulta estremamente nuovo e quasi pornografico, poiché è sessualmente esplicito (rispetto agli standard dell’epoca), mostrando baci e abbracci molto intimi.

Con l’ascesa al potere di Mao Tse-tung, il cinema assume una funzione propagandistica e la quasi totalità dei film prodotti tra il 1949 ed il 1966 rappresentano solamente l’ideologia del Partito Comunista, disinteressandosi dei gusti del pubblico. Dopo la resa del Giappone, avvenuta nel 1945, il Partito Comunista si impossessa della Manying (nota anche come Manchurian Motion Pictures) e la usa come base per la costruzione di dei propri studi cinematografici. Oltre a ciò, nel 1949 istituisce il Central Film Bureau, un organo che detiene il totale controllo sull’industria cinematografica, dalla produzione dei film fino alla loro distribuzione. Il 16 novembre dello stesso anno viene fondato dal Partito il Shanghai Film Studio, lo studio più ricco e meglio attrezzato del Paese, che attira sin da subito i registi cinesi più apprezzati ed esperti.

Il governo della Repubblica Popolare Cinese, all’inizio, intraprende una politica atta a far crescere le case di produzione private: quattro dei sette studios indipendenti, infatti, ricevono dei finanziamenti statali per un totale di 20 milioni di yen, oltre a venire forniti di attrezzature e pellicola. Almeno fino a quando buona parte di questi studi comincia a produrre film che si allontanano dai dettami del Partito, che si vede così costretto ad attuare un controllo ancora più severo e molti di questi film vengono ritirati dal mercato o la loro distribuzione viene bloccata. I registi di tali opere cominciano a temere per il loro futuro, che non si prospetta più roseo come in precedenza: è il caso, per esempio, di Sun Yu, che vede la sua carriera compromessa a causa delle critiche di Mao in persona al suo film del 1950 The life of Wu Xun (Wǔ Xùn zhuàn), di Shu Hui, che ha diretto Platoon commander Guan (Guān lián zhǎng, 1951) e che si suiciderà pochi anni più tardi a causa della Campagna Anti-destra, e di Zheng Junli, regista di Wǒmen fūfù zhī jiān (The married couple, 1951) morto negli anni ’60 in prigione. Perciò, nel 1952 tutti gli studi indipendenti vengono costretti a fondersi con la Shanghai Film Studio, evento che priverà la Cina di un cinema indipendente per i futuri tre decenni: infatti, nel corso degli anni ’50 vengono fondati cinque nuovi studios controllati dallo Stato che, insieme a quelli già esistenti, produrranno la quasi totalità dei film tra gli anni ’50 e ’80.

“The life of Wu Xun” di Sun Yu.

L’importazione di film occidentali e, soprattutto, americani e hollywoodiani viene ridotta sempre di più e a quei pochi proiettati in Cina viene fatta una pessima pubblicità, per ridurre l’affluenza del pubblico nelle sale in cui essi vengono proiettati. Dopo la totale estromissione del cinema americano dal mercato cinese, il vuoto lasciato da questi film viene colmato con l’importazione di pellicole sovietiche ed est-europee. Moltissimi film sovietici vengono doppiati ed il prezzo del biglietto di queste opere viene ridotto per incentivare il pubblico a vederli, sebbene le differenze culturali tra Cina e Unione Sovietica siano un ostacolo per lo spettatore medio. Per far fronte a questo problema si iniziano a stampare recensioni e saggi per rendere più fruibile il cinema sovietico.

Dopo la campagna contro The life of Wu Xun, molti registi pensano più a non commettere errori che possano indispettire il Partito che all’aspetto artistico delle loro opere e, a causa di ciò, la produzione cinematografica cinese subisce un rallentamento. Mao inizia, così, ad incoraggiare la realizzazione di film che critichino la sua politica, nella speranza di rimediare a questa situazione, e molti registi si cimentano nella produzione di opere che denunciano il Partito Comunista. Tuttavia, film come Loyal partners (Qing chang yi shen, 1956. Chiedo scusa per la mancanza degli accenti ma non son riuscito a trovare la giusta trascrizione dei caratteri cinesi) di Xu Changlin e Before the new director arrives (Xīn júzhǎng dàolái zhīqián, 1957) di Lu Ban mostrano un malcontento che Mao non accetta e, così, dà inizio ad una Campagna Anti-destra nel giugno del 1957 per sopprimere tutti i dissidenti.