Home recensioni biografico Il re di Staten Island – Piccoli “fattoni” crescono

Il re di Staten Island – Piccoli “fattoni” crescono

La prima cosa da sapere parlando del nuovo film di Judd Apatow (40 anni vergine, Molto incinta) è che si tratta della vita romanzata di Pete Davidson, co-autore della sceneggiatura ed eccentrico membro del cast del Saturday Night Live. Ma questo talentuoso stand up comedian d’American ha avuto una non facile gioventù.

Classico personaggio strafatto e indolente dell’universo cinematografico di Apatow, Pete/Scott passava la vita con un bong in mano a sballarsi con gli amici a casa della madre (Marisa Tomei).

Tanto nella vita vera quanto nella finzione i due hanno perso il padre quando erano ancora bambini. La storia vera vuole che Scott Davidson sia stato infatti uno dei 341 pompieri che perirono nell’adempimento del proprio lavoro durante i tragici fatti dell’11 settembre nel WTC di New York. Cresciuto all’ombra di un padre eroe e con un’indole da “troppo sballato per essere un ribelle” il sogno del ragazzo è quella di aprire un improbabile tatoo-restaurant. Nel frattempo fa pratica letteralmente sulla pelle dei suoi amici. Ma Scott in effetti il talento ce l’ha, è solo che il mondo dove vive non offre molte opportunità a persone come lui. Siamo a Staten Island l’ultimo borough di New York City.

Citando Woody Allen “Chi non sa insegnare, insegna ginnastica. Quelli che neanche la ginnastica li mandavano alla mia scuola”.

Ecco, Staten Island per i suoi abitanti è l’ultimo buco al mondo. Se nasci lì, lì muori. Scott è il classico figlio di quest’isola dimenticata, l’ultimo tra i falliti, incapace anche di gestire il suo rapporto con Kelsey (Bel Powley) o quello con la sorella Claire (Maude Apatow, figlia del regista).

Ma le cose cambiano quando la madre dopo anni di lutto, s’innamora di Ray Bishop (Bill Burr), anche lui pompiere. Presto i due galli nel pollaio inizieranno a scontrarsi, dinamica che aiuterà Scott a mollare il bong e a darsi da fare per riprendersi la sua vita.

Deliziosa commedia agrodolce Il re di Staten Island si regge sulla fisicità spontanea di Davidson, un non attore capace di conferire all’intera pellicola un piacevole sensazione di autenticità.

Il suo è un mondo vero, fatto di dubbi, affetti, paure e inquietudini interiori. Un asfissiante mal di vivere e la fottuta paura di essere felici. Apatow tiene a bada i sentimentalismi e cerca di ricavare il meglio da alcuni istanti di vita, dagli sguardi dei protagonisti e da alcuni situzionismi comici più che da una struttura narrativa solida. Per tal ragione Il re di Staten Island è una commedia riuscita non per quello che dice ma per come lo dice, non per le verità che sostiene ma per le sensazioni che lascia.