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Rapina a Stoccolma – La Recensione

Prendendo spunto da un articolo del 1975 del The New Yorker che parlava dell’origine del termine sindrome di Stoccolma, il regista Robert Budreau ricostruisce una delle più celebri e discusse rapine dello scorso secolo.

Tutto avvenne nella capitale svedese il 23 agosto 1973, quando Jan-Erik Olsson, un uomo di 32 anni evaso dal carcere si trincerò dentro la sede della Kreditbanken. L’uomo tenne in ostaggio due donne e un uomo, dipendenti dell’istituto. La rapina divenne un caso internazionale, seguito in diretta da molte testate, suscitò giudizi discordanti.

Molte donne, tra cui una delle impiegate simpatizzarono così tanto con il rapinatore che qualche tempo dopo il criminologo e psicologo Nils Bejerot coniò l’espressione Sindrome di Stoccolma ad indicare “particolare stato dipendenza psicologica e/o affettiva che si manifesta in alcuni casi in vittime di episodi di violenza fisica, verbale o psicologica”.

Gli episodi raccontati nel film di Budreau sono molto simili a quelli realmente accaduti nel 1973. I nomi sono stati cambiati per esigenze legali, ma di fatto, come anticipa la didascalia all’inizio della pellicola, la storia di basa su un fatto assurdo ma vero.

Un impacciato delinquente americano Kaj Hansson (Ethan Hawke) decide di rapinare una banca a Stoccolma. Tra i suoi ostaggi ci sono Bianca Lindt (Noomi Rapace), Klara Mardh (Bea Santos), ed Elov Eriksson (Mark Rendall). Nella tratta tiva tra l’uomo e il comandante della polizia, Mattsson (Christopher Heyerdahl), la prima richiesta di Kaj è che il suo più caro amico, e collega Gunnar Sorensson (Mark Strong), venga liberato e portato in banca. Ma le successive pretese del buffo criminale texano, non vengono assecondate per la ferma opposizione del primo ministro svedese. Intanto però all’interno della banca anche se la tensione sale, si crea un curioso rapporto di complicità tra vittime e carnefici.

Dopo aver diretto Born to Be Blue, la storia del celebre jazzista Chet Baker, uscito nel 2015 e non distribuito in Italia, i regista canadese Robert Budreau, ci riprova. Anche questa volta coinvolge l’attore Ethan Hawke, già protagonista della sua precedente prova.

Il film cerca di proporsi come un classico heist movie, ma per la complessità delle dinamiche psicologiche dei personaggi, finisce per fallire in questo proposito. Non va neanche a buon fine il vago e pavido tentativo del regista di di dare alla pellicola un distintivo tono da dark comedy. Manca tensione e i twist (migliori nella seconda parte del film) sono troppo deboli e prevedibili.

Molto sopra le righe, il personaggio di Hawke, caricaturale e goffo, viene recitato in una sorta di trance overacting dall’attore di Austin. E non sembra essere a suo agio neanche Mark Strong, costretto in un ambiguo ruolo di villain poco convinto di esserlo. Si salva solo Noomi Rapace, camaleontica e virtuosa tra lacrimoni e languidi/impauriti sguardi a suo aguzzino.

Modesto e un filo noioso.