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Rampage – La Recensione

Cosa ci fanno un gorilla alto tre piani, un coccodrillo lungo quanto un campo da football e un lupo di dimensioni “jurassiche” a Chicago?!

Ovviamente fare imbestialire Dwayne Johnson!

Ma partiamo dal principio.

Nel 1993, una nuova tecnologia genetica chiamata CRISPR sembrava aver trovato una soluzione definitiva per molte malattie incurabili.

Poi però arrivarono i cattivoni sotto le mentite spoglie di una grande multinazionale e nel testare gli esperimenti, qualcosa andò storto.

A farne le spese due innocenti animali selvaggi e il simpaticissimo gorilla silverback albino George, molto amico del primatologo Davis Okoye.

In pratica un pericolosissimo gas verde li ha trasformati in bestie assetate di sangue, di dimensioni fuori la norma, in rotta di collisione con la grande metropoli.

Dopo il fallimento delle convenzionali armi dell’esercito statunitense, l’unica speranza per la città e forse per l’umanità stessa è nelle mani del muscoloso Dwayne.

Terza collaborazione tra l’attore e il regista Brad Peyton, “Rampage”, dopo “Viaggio nell’isola misteriosa” e “San Andreas” è un pirotecnico ed inarrestabile videogioco.

L’universo ludico però paga sempre, basti pensare che questi due film hanno incassato la bellezza di 800 milioni di dollari nelle sole sale statunitensi.

Il punto di forza della pellicola è sicuramente l’effettistica, curata dai realizzatori de “Il Signore degli Anelli”, “X-Men” e la trilogia del “Pianeta delle Scimmie”.

Ma quello che rende il film inaspettatamente molto gradevole è senza dubbio la sua autoironia, quel sano prendersi in giro, senza troppe facce contrite e drammoni seriosi.

Tratta da un videogioco della Midway Games degli anni ’80, la pellicola è in effetti un omaggio al piglio divertito dei soft-action di Arnold Schwarzenegger.

D’altronde l’unico vero erede dell’eroe austro-californiano sembra proprio Dwayne “The Rock” Johnson, con il quale l’attore condivide il piacere di distruggere le cose, ridendoci sopra.

Ma la chicca del film entra in scena con Jeffrey Dean Morgan, il cattivissimo villain di “The Walking Dead”.

Pur senza la sua Lucille, inseparabile  mazza da baseball avvolta nel filo spinato, Negan riesce comunque a ritagliarsi una fetta importante di film.

Brava e bella anche Malin Åkerman, questa volta in vesti più dark, dopo le sue prove in commedie rosa come 27 volte in bianco e Ricatto d’Amore.

Il tutto nonostante la sceneggiatura faccia acqua da tutte le parti!

Parliamoci chiaro!

Ci sono pellicole che vanno viste con gli occhi di un 12enne perché altrimenti sarebbe un continuo “manca di strutture coesive” o “l’interpretazione esegetica è stiracchiata”.

Tocca solo spalancare gli occhi, comprarsi un enorme cesta di pop-corn e affidarsi ad una storia, che pure senza alcuna credibilità narrativa, regala straordinari “wow” e quella sospensione dell’incredulità che al cinema, in giuste dosi, fa sempre bene.

A cura di Giuseppe Silipo