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PICCOLA PATRIA

Nord Est.
Siamo in Veneto, ed il primo lungometraggio di finzione del regista Alessandro Rossetto (all’esordio dopo un’ iniziale carriera nel mondo dei documentari) racconta le vicende di Luisa (Maria Roveran), fidanzata con Bilal, e di Renata (Roberta Da Soller).


Disinibita e trasgressiva Luisa, silenziosa e piena di rabbia Renata.
Il loro sogno di vivere in un mondo migliore e di evadere dal piccolo paesino in cui lavorano sottopagate in un hotel si scontra con l’immobilismo economico e culturale del luogo in cui vivono.
Luogo che a detta del regista può essere sia la campagna veneta visibile nel film (bellissime e allo stesso tempo tetre le riprese del paesaggio dall’alto, niente parchi, piazze, ma solo campi, fabbrichette qua e la e molta desolazione), ma anche ogni altra parte di Italia, o del mondo stesso.
La soluzione improvvisata che Luisa e Renata troveranno per evadere da quella realtà avrà risvolti pericolosi.
Sia nelle loro vite che in quelle dei loro affetti più cari.

Le due protagoniste

Fa molto riflettere e pensare lo spaccato quotidiano che Rossetto ci regala in Piccola patria.
Il tutto utilizzando come background della sua storia il Veneto .
Quello rurale, di periferia, xenofobo e in piena crisi economica.
Quello in cui i suoi abitanti sembrano incapaci di superare stupide credenze e ideologie.
Ed anche di dare una svolta alle loro vite ed aprire le loro piccole menti.
L’esempio maggiore di immobilismo è dato dal padre di Luisa.
Un uomo che sembra essere fermo anche quando cammina, che insulta Bilal, un‘albanese, chiamandolo negro, e che più che un fisico da lavoratore sembra avere quello del più anziano dei pensionati. Pare non esserci alcuna via di salvezza per i personaggi della storia.
Anche se due sono le figure dalle quali poter tirar fuori qualche speranza.

Anche Lucia Mascino nel cast

Una bravissima Anna (Lucia Mascino), madre di Luisa, una madre silenziosa ma sempre presente.
E Bilal, che risponde al vento xenofobo che tira da quelle parti porgendo l’altra guancia.
E nonostante siamo di fronte al primo lungometraggio di finzione del regista, di elementi realistici ce ne sono molti.
Dalle manifestazioni indipendentiste, alle sagre di paese, le celebrazioni sacre, in cui i personaggi vengono inseriti per portare avanti la loro storia.


Una storia che parla di un presente che sembra ormai in rovina. Come ben testimoniano le musiche, scarne, asciutte come il film stesso, ma allo stesso tempo dirette.
Due di loro sono state inoltre scritte ed interpretate dalla Roveran stessa.
E le altre, L’Aqua ze morta e Joska la rossa, anzichè cantare di un passato glorioso descrivono invece l’avvilente presente in cui si trovano i protagonisti e il nord est italiano.
O forse, un po’ tutta la penisola.

Ottime le interpretazioni del cast.
Il tutto in una storia che mantiene un ritmo mai noioso e piatto nonostante a portare avanti il tutto siano più i dialoghi che le azioni stesse dei protagonisti.
Buona la prima insomma per Rossetto ed il suo Piccola Patria, presentato in anteprima nella sezione Orizzonti al 70° Festival di Venezia e in prima internazionale al Festival di Rotterdam 2014, nella sezione Spectrum dedicata a film e registi che offrono un contributo essenziale alla cultura cinematografica internazionale.

Da vedere.