Home Rubriche Outsider Mysterious Skin – Gregg Araki

Mysterious Skin – Gregg Araki

Lo Shoegaze è un genere musicale nato alla fine degli anni ’80 in Uk, dream pop, tanti feedback e l’attitudine dei timidi musicisti a guardarsi le scarpe (da qui il nome) per cercare di controllare gli effetti sonori.

“Dream”, “Feedback” e “scarpe”. Tenete presente queste tre parole, ci ritorneremo.

Negli stessi anni esordisce Gregg Araki, un giovane regista losangelino che con il suo approccio nichilista e postmoderno, definirà come pochi altri il caos emotivo e sessuale della Generazione X.

Una carriera che andrà a braccetto con quella di autori come Larry Clark e successivamente con Todd Solondz. Tutti con la sindrome di Stendhal per la propria personale “private Idhao“.

Grazie a film come The Long Weekend (O’Despair) (1989), The Living End (1992) e Totally Fucked Up (1993), Araki attira l’attenzione della comunità LGBT losangelina, fino al 1995 quando realizzerà il suo capolavoro, quel Doom Generation, destinato a diventare uno dei film più rappresentativi degli anni ’90 e pellicola di mezzo della celebre Teenage Apocalypse Trilogy che continuerà due anni dopo con Nowhere, tradotto in italiano con il titolo Ecstasy Generation.

L’approccio di Araki è diretto. Il regista sembra vivere in prima persona le esperienze provocatorie, extra sensoriali e talvolta censurabili dei suoi personaggi.

Nel 2004 Araki ha 45 anni suonati e il suo cinema diventa improvvisamente adulto, maturo. Il suo stile hype si affina e i toni elegiaci prendono il sopravvento.

Con queste premesse nasce Mysterious Skin. Tratto dall’omonimo romanzo di Scott Heim, la pellicola è ambientata in gran parte ad Atchison, una cittadina di diecimila abitanti del Kansas. La storia parallela di due bambini prima e adolescenti dopo. Neil e Brian, coetanei alla fine degli anni ’80 e pulcini nella squadra di baseball. Uniti da un’esperienza comune. Neil affronta con disinvoltura le sue esperienze preadolescenziali con il coach della squadra, una malata “storia d’amore” e pedofila, che lascerà un segno indelebile nella vita del ragazzo. Brian invece è afflitto da inspiegabili episodi di amnesia ed epistassi, che da sempre collega ad un presunto rapimento alieno. Ormai giovani uomini, i due si incontreranno di nuovo per fare i conti con il loro passato, l’identità sessuale e un misterioso marlboro man.

Un Araki maturo dicevamo, ma che non rinuncia alle sue tematiche predilette. Avete presente quando siamo piccoli ed ogni casa e cosa, ci sembra più grande e più bella. Dietro questi rimandi preadolescenziali si nascondono spesso traumi ed embolie emotive che interrompo il normale passaggio verso l’età adulta.

Coming of age mostruosamente deformati dagli alieni, adulti malati che ingolosiscono inermi bambini con cascate di colorati cheerios.

 

Come nella folgorante scena iniziale poi idealmente presa in prestito dal canadese Xavier Dolan. Come un po’ tutta la filmografia di Araki.

“Dream”, “Feedback” e “scarpe”. Tutto torna.

L’accompagnamento sonoro della pellicola è tutta shoegaze, con i pezzi degli Slowdive, Cocteau Twins, Curve, Sigur Rós e Ride. Un dream pop evocativo dilatato che immerge lo spettatore in una bolla onirica come nei sogni di Brian. Feedback, musicali e narrativi. Infine un paio di scarpe, quelle che lo stesso Brian disegna ai piedi dell’alieno e che in realtà sono quelle del coach. Il primo spiraglio grazie al quale il ragazzo riuscirà a far luce sulle sue amnesie.

Forse allora il termine shoegazing diventa un riordinare il caos esistenziale dal wall of sound della propria adolescenza.