Home Speciale Interviste McBETTER: intervista al regista Mattia De Pascali!

McBETTER: intervista al regista Mattia De Pascali!

(foto di Matilde Orlando)

Buongiorno Mattia! Hai appena finito di girare il tuo primo lungometraggio, “McBetter”, quindi cominciamo l’intervista da qui! Come nasce il progetto? Com’è andata sul set?

Ciao Max. Le riprese sono andate bene. Siamo riusciti a portare a casa tutte le scene e questo è già tanto. Se consideriamo poi che nessuno è finito in ospedale e che, a parte il regista, erano tutti sorridenti, direi che sono andate ottimamente. D’altronde l’idea di partenza era lavorare in modo professionale ma divertendosi. Per questo ho preferito mettere da parte altre sceneggiature dai toni più seriosi ed esordire con McBetter”, una storia sì drammatica ma con elementi goliardici e fantastici che stemperano il tutto.

Quando e con che film nasce la tua passione per il cinema?

Ho sempre guardato molti film, fin dalla tenera età. In famiglia c’era l’abitudine di andare al cinema almeno una volta a settimana e la sera in tv si guardavano esclusivamente film. Eppure da bambino sognavo di fare il contadino. Poi a tredici anni ho visto Arancia Meccanica” e ho cambiato idea sul mio futuro.

Prima di esordire alla regia hai fatto un bel po’ di gavetta sui set altrui. Ci puoi raccontare di queste tue esperienze formative?

In realtà non è esattamente così. Ho cominciato dirigendo i miei cortometraggi e nel frattempo mi sono inserito su altri set, inizialmente per imparare e poi per campare. Non esiste un percorso unico per tutti i registi ma credo che la gavetta possa fare la differenza nella crescita artistica tanto quanto gli studi. È anche vero che in questi anni ho incontrato più di un collega che ha saltato a piè pari ogni tipo di formazione e che ora lavora molto più di me.

(set de “L’iniziazione” – foto di Marco Conoci)

Hai scritto un libro, Multisala Salento – Come fare film sotto il sole con pochi soldi e a stento. Di cosa parla?

È una ricerca sull’industria cinematografica nella provincia di Lecce, in particolare sui registi salentini che operano nella propria terra. Se si tralascia il mercato dei lavori su commissione, videoclip o spot, non sono certo in tanti i nomi che vengono alla mente. La maggior parte del cinema realizzato nel Salento riguarda produzioni provenienti da altre regioni o estere. La domanda a cui cercavo risposta, ormai più di cinque anni fa, era: posso fare film a casa mia?

Sei regista e scrittore, ma anche sceneggiatore. Non solo delle tue opere, ma anche di film altrui. Ci puoi parlare in particolare di Another Abduction?

Non mi definirei scrittore, sceneggiatore magari sì. Another Abduction” è una storia nata un paio d’anni fa dal mio incontro con Roy Geraci. A differenza sua, non sono mai stato un appassionato di ufologia. Così ho cominciato a documentarmi e ne ho tirato fuori una sceneggiatura che di recente è stata rispolverata proprio da Roy. Spero che riesca a trovare i fondi per acquistare i diritti dello script e trasformarlo in immagini, so quanto ci tiene a realizzare il suo film.

Psycho&Love: un tuo corto che ho trovato stupendo. Nasce da un’idea tua?

Direi più di Apuleio. Mi trovavo a una lezione di letteratura e la docente parlava della favola di Amore e Psiche mentre gli universitari, principalmente donne, la guardavano con gli occhi a cuoricino e commentavano romanticamente. Io restavo sempre più perplesso e pensavo: possibile che solo a me questa storia appaia estremamente misogina? Cosa succederebbe se la raccontassi nuovamente spostandola ai giorni nostri? Il risultato è che con Psycho&Love” sono stato accusato di misoginia.

(set di “McBetter” – foto di Cristina Panarese)

Tra i tanti corti girati da te spicca anche L’iniziazione, presentato al Puglia Show della Mostra del Cinema Europeo…

“L’iniziazione” nasce durante un altro corso universitario. Per superarlo bisognava presentare una sceneggiatura. Credevo di avere scritto un bel testo, ma la giovane assistente del professore con cui sostenni l’esame mi disse: «Questa storia non ha senso. Non ha un inizio, non ha una fine». Decisi allora di inviarla al TOHorror Film Fest e nel 2013 fu tra le finaliste. Successivamente, rientrato nel Salento, la trasformai in un corto.

Ma come spesso accade, almeno a me, la mancanza di soldi e quindi di tempo mi costrinse a scelte drastiche in fase di ripresa. Se oggi la ragazza dal tailleur rosa porcellino mi muovesse le stesse critiche mi sarebbe più facile comprenderle e magari accettarle. Ad ogni modo voglio dedicare a lei questo cortometraggio, perché senza la sua aria stizzita probabilmente non lo avrei mai diretto né sarebbe stato selezionato in più di un festival.

Hai girato anche un videoclip per la band dei Monotron!

Confermo e ammetto che non sono mai stato un grande appassionato di videoclip. C’era però in me la voglia di confrontarmi con questa forma di linguaggio che predilige le suggestioni alla narrazione. L’idea alla base di “Zhi Nu” era raffigurare il bisogno di evasione di una donna, interpretata dall’ormai fedele Donatella Reverchon. Il finale doveva offrire più di una possibile chiave di lettura. Peccato che in molti ci abbiano visto un’improbabile campagna di sensibilizzazione contro la droga. L’essere frainteso è ormai per me una cifra stilistica.

(set di “McBetter” – foto di Cristina Panarese)

Non ti fai mancare nulla: sei anche recensore di film di genere per il noto sito di cinema Point Blank!

Se non ricordo male ho cominciato nel 2014. Inizialmente mi venivano assegnati documentari. Poco dopo mi sono specializzato nei film italiani di genere, quelli odierni. Parlare dell’epoca d’oro della nostra cinematografia non mi interessa un granché, perché lo hanno già fatto in tanti meglio di quanto potrei fare io. Ho invece l’impressione che tanto del nostro attuale cinema di genere resti invisibile ai più o che venga discusso con superficialità. Nella mia visione, il recensore non è chi esprime un giudizio basandosi sul proprio gusto piuttosto che su argomentazioni oggettive, ma chi offre nuove chiavi di lettura del testo filmico e incoraggia la riflessione nello spettatore.

Quali sono i film italiani che hai preferito negli ultimi anni?

L’ultimo film che ho visto in sala e apprezzato è stato La guerra dei cafoni”. Mi sono piaciuti anche Veloce come il vento”, “Suburra”, Lo chiamavano Jeeg Robot”, Non essere cattivo” e, perché no, Omicidio all’italiana”. Sono invece rimasto molto perplesso su altri titoli elogiati da critica e pubblico ma che francamente trovo portatori di una mentalità italiana retrograda e di valori cattolici deleteri per l’individuo e la società.

Cosa ne pensi della situazione del cinema indipendente italiano oggi?

I film vengono realizzati. Credo sia impossibile farne un vero censimento, riuscendo a distinguere tra amatoriale, basso e bassissimo budget. La maggior parte dei titoli scompaiono nell’oblio immediatamente, privi di una distribuzione pure minima e autogestita. Come in ogni situazione prolifica in mezzo a tanta mediocrità si possono trovare delle perle. Serve però la volontà da parte del pubblico di uscire dalla bambagia del mainstream e accettare il compromesso che tra un film indipendente e uno sovvenzionato dallo Stato ci sono almeno due zeri di differenza nel budget.

(set di “McBetter” – foto di Cristina Panarese)

In particolare riguardo il cinema indipendente horror italiano, pensi che la qualità delle opere, negli ultimi anni, stia migliorando o peggiorando?

I film brutti sono sempre esistiti, anche nei decenni in cui, a detta di molti, sapevamo fare il cinema. Quando resto deluso da un horror contemporaneo non mi pare né più né meno triste dei titoli antecedenti. Allo stesso modo, sebbene non sia il tipo da entusiasmi facili, ho visto film odierni davvero belli e altri con un grosso potenziale. In generale bisognerebbe smetterla di ripetersi: Ah, quando c’erano loro… Bava, Freda e company. Loro sono morti, come è giusto che sia, e noi potremmo dedicarci un po’ di più ai vivi. Se non siamo troppo pigri da attendere un ventennio per l’ennesima rivalutazione a posteriori.

Quali sono i tuoi cult horror in assoluto?

Tendo a non mitizzare niente, né le opere e ancor meno i suoi autori. Esistono titoli che in un determinato periodo mi piacciono ma non è detto che sia così per sempre. Anzi, basandomi sull’esperienza, direi che è improbabile. Perciò a una domanda del genere mi viene difficile rispondere. Facendo mente locale, i primi due titoli che mi sovvengono adesso sono Quella villa accanto al cimitero” di Fulci e Le notti del terrore” di Andrea Bianchi.

(set di “McBetter” – foto di Cristina Panarese)

“McBetter”: che genere di storia è? È un horror, una commedia nera o un crossover tra generi? Cosa pensi che si debba aspettare il pubblico?

“McBetter” è qualcosa. Non ti so spiegare bene cosa. Quando in passato dicevo «Ho girato o scritto un horror» la gente mi rispondeva «Ma questo non è un horror!». Allora è meglio lasciare che sia il pubblico a decidere. Dal canto mio, l’idea iniziale era quella di un beast-movie a cui si sono sommati, fino a prevalere, i conflitti umani. La bestia è divenuta quasi una presenza metafisica, lasciando agli evoluti bipedi il compito di autodistruggersi. In questi giorni, rivedendo alcune scene in sala montaggio, rido spesso. Ma, sinceramente, dubito che il grosso del pubblico abbia il mio stesso humor e mi aspetto tutt’altra reazione.

Dopo “McBetter” hai già in mente qualche progetto cinematografico al quale poter lavorare?

Manca ancora molto perché “McBetter” sia ultimato. Per ora è prematuro pensare alla prossima regia. Nel frattempo preferisco dedicarmi al lavoro di sceneggiatore. Attualmente sto collaborando con Alberto Genovese al suo nuovo lungometraggio, Resurrection Corporation”. Mi piace perché il suo e il mio film hanno più di un aspetto in comune. Magari quando saranno usciti entrambi in blu-ray, qualcuno se ne accorgerà.