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Logan Lucky (La truffa dei Logan) – La recensione

Lucky Logan

Dimmi un po’ ragassolo, tu conosci un certo Mario che abita qua intorno?
Qui de Mario ce ne so’ cento.
Oh sì va bene, ma questo l’è uno che ruba…
Sempre cento so’.

1 Decidere di fare una rapina.
2 Avere un piano.
3 Avere un piano di riserva.
4 Stabilire delle comunicazioni chiare.
5 Scegliere i soci con cura.
6 Aspettarti l’inaspettato.
7 Shit happens.
8 Non essere avidi.
9 Ricordarsi sempre che Shit happens.
10 Scappa al momento giusto.

Queste sono le dieci regole fondamentali per una rapina perfetta.
Anche quando a commetterla sono due fratelli e una sorella redneck e un po’ cafoncelli, che ricordano, in tutto e per tutto, Bo e Luke nella storica serie tv anni 80.
Dove però al posto di Daisy Duke c’è Riley Keough, nella vita reale nipote di Elvis, che il regista Soderbergh ritrova dopo l’esperienza di Magic Mike.
Una rapina tanto difficile quanto necessaria per cambiare le sorti di una famiglia sulla quale da anni incombe la fatidica maledizione dei Logan, a causa della quale entrambe i fratelli sono menomati.

Jimmy (il fedelissimo Channing Tatum) per la sua zoppia è stato appena licenziato e Clyde (Adam Driver) ha perso un braccio in Iraq.
In questa povera provincia tra la Virginia e il North Carolina, l’unica cosa da rapinare è il Motor Speedway, una delle maggiori manifestazioni sportive del paese, che ospita circa 300 eventi l’anno, che è sede ufficiale della Nascar.
Corse di auto insomma, ma soprattutto un posto dove in meno di 24 ore girano milioni di dollari.

Driver e Tatum

Ma dall’altra parte dei loro sogni, c’è un caveau a prova di bomba, una Cavern Hill, e se starnutisci a tre metri da una Cavern Hill, Amen.
Ti trovi tutta la polizia addosso in men che non si dica.
Quindi ai ragazzi serve un vero esperto di casseforti, e l’unico di cui hanno sentito parlare nella loro vita da giovani loosers di campagna, è un certo Joe Bang, che però sta in carcere.
E dunque il piano si complica, perché dovranno anche far evadere l’uomo.
Ce la faranno i nostri eroi?
Può darsi, infondo come si fa a mettere le manette ad un uomo che ha una sola mano?!

Sono Bon…..ehm no, sono Joe Bang

A distanza di 16 anni da Ocean’s Eleven, il regista Robin Hollywood che saccheggia alle grandi majors per realizzare film indie da botteghino, ci riprova con un nuovo Caper movie che segue le orme de I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli, ancor più di Colpo Grosso di due anni più giovane, con il Rat Pack al completo e che ispirò lo stesso Soderbergh nel remake della premiata ditta Pitt/Clooney.
Ma Lucky Logan il debito maggiore lo deve proprio al film italiano, soprattutto nella misura in cui, il contesto socio-culturale, è ben lontano dai lustrini di Las Vegas e dove il West Virginia sembra più la grezza Roma de noantri.

Il film inizia sulle note di Some day are Diamonds e un aneddoto sulla nascita di un’altra canzone di John Denver, la storica Take Me Home, Country Roads simbolo del West Virginia, scritta da Bill Danoff e Taffy Nivert insieme allo stesso Denver.
Quindi ancora un aneddoto su un pezzo, questa volta Umbrella di Rihanna che pare in realtà essere una metafora della vagina della stessa cantante.

Insomma dopo poco più di dieci minuti si capisce che la colonna sonora di Lucky Logan sarà un elemento fondamentale del film, quasi un altro personaggio e c’era da aspettarselo visto che oltre alla selezione di brani originali, la pellicola si avvale di una OST da urlo, scritta da David Holmes, fedele collaboratore di Soderbergh sin dai tempi di Out of Sight, forse la sua opera maggiore, musicalmente parlando.
Insomma Lucky Logan (inspiegabilmente distribuito con il titolo La truffa dei Logan) è divertissement puro, dinamico e un po’ cafone, pieno di bolidi che corrono, di belle pupe e di autocitazioni da Ocean’s Eleven, ma con una differenza fondamentale.

Fottere il sistema ai giorni d’oggi è diverso rispetto a 16 anni fa, perché diversa è l’America dopo gli attentati alle Torri Gemelle, la Crisi dei Subprime del 2008, la disoccupazione dilagante e l’avvento dell’era Trump (che proprio in Virginia ha raccolto più consensi che in qualsiasi altro Stato americano), diverso sono anche gli occhi del regista, più maturo e consapevole, dagli spensierati tempi in cui Clooney strizzava l’occhio a Sinatra.
Oggi rubare, non ha più l’eleganza di John Robie il gatto di hitchcockiana memoria, nell’angolo di un bar, a bere Cocktail Martini, non c’è più Cary Grant, ma un’asshole inglese che provoca i fratelli Logan.
Oggi rubare non veste più un impeccabile  tight, ma una maglietta strappata e un paio di logori jeans.

L’American Dream è morto e come dice De Andrè: Ci hanno insegnato la meraviglia verso la gente che ruba il pane, ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame.