Home Speciale Lost In the mood for Casablanca – o dell’amore interrotto

Lost In the mood for Casablanca – o dell’amore interrotto

1942, Casablanca

il cinico Rick gestisce un locale nella città marocchina in pieno regime filo-nazista; ai tempi non era chiaro chi avrebbe vinto la guerra. Rick non beve con i clienti e non si fa coinvolgere da nessuna donna o situazione scomoda. Le cose cambieranno con l’arrivo del capo della resistenza e soprattutto della bella Ilsa…

A meno di non provenire da un altro pianeta, è impossibile non conoscere Casablanca. A quasi 80 anni suonati, il film resta un cult e il motivo è semplice: tratta una storia che trascende il tempo e il luogo del girato. C’è amore, sacrificio, senso dell’onore; il tutto in un’atmosfera noir cesellata nel bianco e nero.

E che dire del cast: la Bergman irradia lo schermo con uno sguardo che contiene il mondo intero; Il Rick di Bogart è, semplicemente, l’archetipo dell’ Uomo: deciso, misterioso e sicuro di sè. Le donne lo desiderano, ma Rick mantiene il distacco da qualsiasi fonte di guai.

Il Bogart di Casablanca è l’ideale di maschio alfa, un punto di riferimento per gli uomini; proprio come in Provaci ancora, Sam, dove il fragile e ansioso protagonista (Allen nella sua tipica parte) immagina proprio di aver Rick al suo fianco a consigliarlo con le donne.

Il Rick di Bogart è, semplicemente, l’archetipo dell’ Uomo

Ma questo è solo un lato della medaglia: il vero Rick è un idealista, capace di sacrificare tutto in nome di ciò che trova giusto. Persino l’amore della vita.

In un finale che lo consacra da uomo a eroe, oltre che icona nella Storia del Cinema, Rick mette in salvo Ilsa mettendola su di un aereo con suo marito. Lui la vedrà spiccare il volo da terra, solo insieme alle conseguenze delle proprie azioni.

Nel nome della cosa più giusta, non c’è domani per loro due: il rifiugio di Rick e Ilsa è il passato

lost mood casablancaAvremo sempre Parigi

1962, Hong Kong

Due coppie si trasferiscono nello stesso palazzo, lo stesso giorno. Lui e Lei si ritrovano costantemente soli; i rispettivi coniugi spesso lontani per lavoro; ma ancora più spesso per tradimento.

Punto più alto della cinematografia di Wong Kar-Wai, In the mood for love mostra anch’esso un amore senza un domani, nè un oggi. Entrambi traditi, assistiamo a un balletto di due anime sole; un balletto struggente perchè costantemente fuori tempo.

I due protagonisti sono eleganti in mezzo a vicini e colleghi sgraziati, rumorosi, invadenti. Ma questa classe e ogni singolo gesto si muovono sotto il peso del perbenismo della società, delle proprie paure, del dolore del tradimento che grava sulle spalle. Il regista con una delicatezza unica e con la tecnica ruba momenti di quotidianità. E ci rendi spie dell’intimità fratturata di questa non-coppia.

Perchè vivere questo amore non li renderebbe migliori dei propri coniugi; o semplicemente perchè manca il coraggio, o arriva troppo tardi.

E’ struggente vedere gli sguardi appena accennati, le mani sfiorate; gli incontri strozzati per non incorrere nello sconveniente ai curiosi occhi dei vicini. Ma nulla è doloroso come le lancette dell’orologio, mai in orario tra i due.

In punta di piedi, sull’uscio, vediamo la loro storia / non storia

In the mood for love finisce anch’esso con un amore non vissuto. c’è molta poesia ma non c’è nessuno eroismo. Solo, il sacrificio della propria felicità; pianto sottovoce in un luogo sperduto quello che non sarà mai, perchè ogni scelta, sia essa tardiva o non presa, ha le proprie irrimediabili conseguenze.

2003, Tokyo

Bob e Charlotte si trovano per diversi motivi molto lontano da casa: lui è un attore avanti con gli anni, in fuga dalla famiglia e in Giappone per uno spot; lei sposata con un fotografo che la lascia spesso da sola, senza lavoro e senza amici.

Lost in translation invecchia ed invecchierà bene; perchè, proprio come Casablanca, affronta temi senza tempo. C’è la solitudine, che ti porta a riflettere e metterti in gioco sulle scelte della propria vita, siano esse affettive o professionali. Charlotte è giovane e non sa cosa farà da grande; Bob è in piena crisi di mezza età, con uno sguardo disulluso su quanto, da grande, ha già fatto.

La Johansson è brava e splendidamente giovane, ma Bill Murray è un mostro. E’ un omaccione (poco sotto il 1.90, tra giapponesi; lei è 1.60) pieno di sarcarmo e arguzia, ma perso nè più nè meno quanto la giovane donna. L’espressività del suo volto scavato gli permette di passare dallo snocciolare battute a epifanie di vita mantenendo la totale credibilità.

Il rapporto tra Bob e Charlotte inizia come amicizia tra due persone infelici che galeggiano in un oceano di sconosciuti dal volto e la lingua non familiari. Presto diventa altro: una complicità e un’intimità che non sfociano nel rapporto fisico di un amore, ma ne hanno tutti i connotati.

Con il finale più azzeccato di sempre, per Lost in translation è più appropriato parlare di amore non detto. Non sapremo mai cosa Bob ha sussurrato a Charlotte, ma paradossalmente, forse proprio per questo il senso di incompiuto è minore.