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Lo spietato – La Recensione

Le intenzioni del regista Renato De Maria sono chiare già dalla prima inquadratura del film, per poi diventare esteticamente accattivanti grazie agli interior design sospesi tra il recupero dell’art deco e retrofuturismo 70s, che sfociano in bianchissimi pouf, lampade a sospensione, tavolini da caffè. Insomma tutto quell’ambaradàn che ti sembra di essere Alex DeLarge nella villa dello scrittore Frank Alexander, in una scena cult di A Clockwork Orange.

Questo perché Lo Spietato (distribuito direttamente su Netflix dopo tre giorni in sala) non nasce dal nulla ma è liberamente ispirato da Manager Calibro 9 di Pietro Colaprico e Luca Fazzo. Sceneggiato dallo stesso regista insieme a Valentina Strada e Federico Gnesin, la pellicola è un chiaro omaggio al prolifico filone del poliziottesco italiano riportato in auge alla fine degli anni novanta grazie ad un ex videotecaro di Manhattan Beach con la fissa per i B-Movie italiani di quel periodo. Quindi realtà urbana degradata, tanta violenza, machismo e maschilismo a palate e una buona dose di “chi se ne fotte” quanto a congruenze narrative.

Ma soprattutto era un cinema di genere che esprimeva un sentimento comune, la voglia di affrancarsi dal peso dei contenuti politici (anche se spesso erano film politici) di una generazione di autori cresciuti durante gli anni di piombo.

Qui il piombo uccide in egual misura. Lo fa per tracciare l’ascesa e il declino di un giovane ragazzo di strada milanese ma in realtà proveniente dalla lontana Calabria. Anni in cui per migrare al Nord ci volevano anche due giorni. La storia di Santo Russo (Riccardo Scamarcio), piccolo malavitoso dell’hinterland. Un pesce piccolo che inizia con rapine da poco, passa ai sequestri e in breve diventa un losco affarista senza scrupoli nella Milano da bere. Tutto proprio davanti alla mia bella Madonnina, che te brillet de lontan, tutta d’ora e piscinina, tì te dominet Milan. Un italianismo molto poco ambrosiano per dire “tu che domini Milano”. L’ambizione di Santo è proprio questa. Conquistare la città. Diiventare un pezzo grosso, mettendo in secondo piano, se necessario, anche la moglie (una talentuosa Sara Serraiocco) e i figli. Concedendosi una giovane e suadente amante francese (Marie-Ange Casta la bellissima sorella di Laetitia). Uccidendo senza pietà chiunque si mettesse tra lui e il suo destino. Ma l’ambizione e spesso le donne come successe anche a Dillinger, si sa che possono essere una debolezza fatale.

De Maria punta molto sul revival seventies ma attinge in maniera palese da Goodfellas, per situazioni (la parabola di un gangster) e per modi (il voice over pileggiano).

Fa quello che può con quello di cui dispone, anche se non è molto. I twist della sceneggiatura sono scontati e sconclusionati, ci sono luoghi comuni arlecchineschi e soprattutto alcuni personaggi finiscono col diventare, nel corso della storia, improbabili stereotipi. Non aiuta la totale assenza di un vero antagonista che non sia il proprio ego.

Godibile, anche se approssimativo.