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L’Iran ai tempi di Panahi : “Taxi Teheran” – di Jafan Panahi (2014)

L’ultima opera del regista iraniano Jafar Panahi più che un film potremmo definirla un progetto, un messaggio, perchè film sarebbe troppo riduttivo. Un film lo si vede, è una storia, un qualcosa che il regista vuole raccontare e mostrarci, con i suoi attori, le sue scelte di regia. Ma quando dietro ci sono anche altre volontà, come quella di lanciarci un messaggio, di farci capire che dietro il film c’è qualcos altro, che il regista non vuole solo raccontarci una storia ma vuole farci riflettere, vuole che al termine della pellicola andiamo a cercare le sue vecchie opere, o notizie su quello che lui racconta, allora abbiamo davanti qualcosa di più di un semplice film.
Ed infatti “Taxi Teheran” è un esperimento, un progetto, costato molto caro al regista Panahi, non tanto in termini di soldi, ma tanto in termini di sacrifici.

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Il regista Jafar Panahi nel film

Sacrifici che possono essere racchiusi tutti un’unica parola : Iran. Il paese natale del regista infatti non lo ha messo nelle migliori condizioni per poter fare quello che un regista in qualsiasi altra parte del mondo fa : girare un film con la piena libertà espressiva. E fare un film, che non sia solo un film, ma che sia un progetto, una storia che ti lascia qualcosa dentro, e che lanci un messaggio, è molto difficile se sei attorniato solo ed esclusivamente da restrizioni sociali e politiche. Ma se sei un gran regista ne vieni fuori. E Panahi lo è, indubbiamente. Perchè scende direttamente in campo per questo suo ultimo lungometraggio, si fa anche attore.
Prende un taxi, uno spazio piccolo, chiuso, lo trasforma però in un piccolo mondo, perchè al suo interno durante il film vi salgono diverse persone, di entrambi i sessi, di diverse età, estrazioni sociali, con le loro storie, i loro problemi, le loro vite, le loro aspirazioni. Diversi punti di vista, che non sono solo quelli dei vari personaggi ma che sono anche quelli dei diversi mezzi con cui il film viene girato : il taxi ha una sua telecamera, che riprende tutto (l’ occhio del regime iraniano è sempre presente), ma per alcuni attimi questo “velo” è tolto da altri mezzi, come la fotocamera della nipotina di Panahi (stupenda nella sua interpretazione), e dai cellulari di alcune delle persone che salgono nel taxi durante la storia.

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L’innocenza non ancora intaccata dalle restrizioni del regime iraniano

Ed oltre alle varie esperienze e testimonianze di vita che sentiamo raccontare all’ interno dell’auto gialla, storie di vita, legate fortemente al background socio-politico del paese in cui vivono queste persone, l’Iran, Panahi ci mette in mezzo la sua, tramite una vera e propria “lezione di regia”, quella che lui da a noi, tramite la sua nipotina che è aspirante regista, e che come noi occidentali, non comprende bene le restrizioni che il suo paese le pone nel girare una pellicola (e non solo).  Non potendo lui stesso scardinare il velo di restrizioni che in Iran copre ogni singolo aspetto della vita dei suoi abitanti, Panahi lo fa con coloro che non sono attaccabili, quelli che possono ancora dire tutto quello che pensano, perchè spontanei, e muniti di una modalità di ragionamento molto più lineare dei grandi : i bambini. Chiunque può rimproverare un adulto per una cosa detta  o fatta, molto più difficile farlo se si tratta di un bambino o di una bambina. Cinema nel cinema insomma, per lanciare un messaggio, di protesta, alle restrizioni sul cinema iraniano ma più in generale alla società, al sistema Iran.
Non è una pellicola per tutti i palati, perchè ci sono delle forzature che ogni spettatore è costretto ad accettare, come il fatto che tutto si svolga all’interno di un automezzo, come avevamo già visto in “Locke”, come il ritmo del film che è molto lento, si prende delle pause ogni tanto, ma non era questo il fine del regista. “Taxi Tehran” non è un film che deve mostrare attraverso immagini eclatanti, non è un film d’azione, ma è una pellicola che deve dire, che deve metterci al corrente, che deve muovere ancora di più il nostro modo di pensare.
E facendo questo il regista iraniano all’ ultimo Festival del Cinema di Berlino si è portato a casa l’ Orso D’Oro, dopo che nel 2010 con il suo film “Closed Curtains” aveva vinto quello d’Argento per la miglior sceneggiatura, oltre ad altri prestigiosi premi (Pardo D’Oro, Leone D’Oro) vinti in altre mostre del Cinema europeo Come Locarno e Venezia. Non è facile nemmeno oggi nel 2015 per un regista iraniano portare il suo cinema fuori dai confini del paese che fu dell’Atyatollah Komeini, ed allora facciamolo noi, guardando questo film , conoscendo meglio la storia di Panahi, del suo cinema, del cinema iraniano, un cinema che ha tra le sue fila un maestro di regista che risponde al nome di Abbas Kiarostami, con cui lo stesso Panahi ha già collaborato in passato. O come un altro mostro sacro che è Mohsen Makhmalbaf. E allora signore e signori, entrate anche voi in questo Taxi, e godetevi il viaggio, a Teheran, nel cinema, assieme a Jafar Panahi.

VOTI FINALI
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Capo Redattore e Co-fondatore

Grande amante del cinema, e questo è scontato dirlo se sono qua :­) Appassionato da sempre del genere horror, di nicchia e non, e di film di vario genere con poca distribuzione, che molto spesso al contrario dei grandi blockbuster meriterebbero molto più spazio e considerazione; tutto ciò che proviene dalle multisale, nelle mie recensioni scordatevelo pure. Ma se amate quelle pellicole, italiane e non, che ogni anno riempono i festival di Berlino, Cannes, Venezia, Toronto, e dei festival minori, allora siete capitati nel posto giusto.

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