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Le Mans ’66 – La grande sfida – La Recensione

E’ incredibile, ma forse questo è il primo caso in cui il titolo italiano è decisamente più corretto e a fuoco di quello originale.

Noi lo chiameremo Le Mans ’66 – La grande sfida ma negli States e in tutto il resto del mondo lo conosceranno come Ford v Ferrari. Ed è curioso perché di Ford contro Ferrari c’è ben poco in questo film. Semmai il vero dualismo proposto dalla roboante pellicola diretta dal veterano James Mangold, è quello tra la Ford e Ken Miles. Da una parte lo spietato mondo del Capitale incarnato dalla multinazionale di Detroit e dall’altra l’audace follia del pilota britannico. Per tal ragione il titolo svia lo spettatore e non coglie il cuore esegetico della pellicola.

Il film segue gli eventi che avvennero a ridosso del 1966, la storia degli ingegneri e dei membri della scuderia statunitense della Ford, guidata dal progettista Carroll Shelby (Matt Damon) e dal pilota Ken Miles (Christian Bale).

Shelby chiamato in virtù delle sue esperienze a Le Mans venne coinvolto nel progetto tutto marketing e risentimento della Ford, di battere le Ferrari del “vecchio Enzo” (Remo Girone) nella prestigiosa pista di Le Mans. Poco tempo prima infatti il big boss Henry Ford II (Tracy Letts) aveva subito lo smacco del Commendatore che aveva rifiutato di vendere la compagnia di Maranello alla multinazionale americana. Ford allora incaricò Leo Beebe (Josh Lucas) ad una gigantesca operazione di marketing che avrebbe, quasi fosse un capriccio, tolto l’egemonia italiana da quella competizione. L’obiettivo divenne prima quello di costruire la celebre Ford GT40, un’auto in grado di vincere la 24 Ore di Le Mans, ma soprattutto quello di trovare un pilota sufficientemente pazzo e talentuoso da portarla al massimo.

Ed ecco perché la pellicola diventa improvvisamente umana e americana. Umana poiché il regista James Mangold ha sempre posto l’individuo inteso in tutta la sua fragilità al centro dei suoi film. Basti pensare a Stallone in Cop Land, Joaquim Phoenix in Walk the Line e a Hugh Jackman in Logan.

Il Miles di Bale (non ci sono mai parole adatte per elogiarlo) continua su questa scia di antieroi, drop out disconnessi dalla realtà, ma, sempre e a loro modo, unici.

In generale colpisce l’intero cast partendo proprio dal già citato mostro sacro Christian Bale, libero di lasciarsi andare al suo accenta natio. Sorprende, ma non è la prima volta, Matt Damon sempre meno buddy e sempre più attore raffinato. Bravo Remo Girone pur dovendo interpretare una versione macchiettistica di Enzo Ferrari. Un plauso infine anche a Caitriona Balfe capace di dar anima e corpo all’anonimo ruolo di Mollie Miles, buttata in mezzo ad una storia tutta al maschile.

Ci sono diverse inesattezze storiche come la presenza di Enzo Ferrari a Le Mans nel 66 o alcune facezie sul versante italico del film, ma primeggia la necessità di romanzare gli eventi, spingendoli al massimo del loro potenziale cinematografico.

Il prodotto finito è un emozionante e coinvolgente film che riesce a non far pesare i suoi 152 minuti, grazie ai continui testa a testa, in pista e fuori.