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Cameron Post e la “diseducazione” all’omosessualità

Siamo nella provincia rurale e bigotta del Montana o in Pennsylvania (cambia poco) e sono gli anni ’90. Qualcosa di simile alla Elmore City dove a Kevin Bacon veniva impedito di ballare. Cameron (Chloë Grace Moretz) è una studentessa di liceo orfana, per un incidente, di entrambi i genitori. La sedicenne ha un segreto, un’infatuazione per la sua amica Coley.

Quando le due ragazze vengono beccate a far sesso sul retro di una macchina, proprio la sera del gran ballo, invece di stare con i loro accompagnatori di sesso opposto, succede il finimondo.

La zia Ruth la spedisce dritta dritta al God’s Promise, un complesso di “diseducazione” all’omosessualità. Una sorta di ospedale/agriturismo “contro-hippy” a favore di una sana educazione sessuale sotto i dettami di nostro signore santissimo e tutta quella roba là.

 

Il punto è che se vuoi far disintossicare un dipendente di metanfetamine lo richiudi in un centro simile, lontano dalle tentazioni. Di contro, provare a disinnescare i normali impulsi sessuali di un gruppo di adolescenti etero o omo che siano, mettendoli tutti insieme, è un po’ come prendere un topolino e stendergli un tappeto rosso fin dentro un caseificio di Saint-nectaire o di Camembert. Anche in questo Istituto insomma le tentazioni non mancano. Così come non mancano i cattivi della situazione come ad esempio la dott.ssa Lydia Marsh (la sempre brava Jennifer Ehle) o il reverendo Rick Marsh (John Gallagher Jr.) giovane ex omosessuale “redento”.

Qui il film diventa un incrocio tra Ragazze Interrotte, Qualcuno volò sul nido del cuculo e anche un po’ di L’attimo Fuggente. Aleggia sempre un filo di scontata banalità, ma il rispetto pedissequo delle basilari e fideistiche regole del cineasta “indie” (per quel che vuol dire ormai questa parola), hanno aiutato la giovane regista a venirne fuori egregiamente.

Lei si chiama Desiree Akhavan, è newyorkese ed è figlia di rifugiati dalla rivoluzione khomeinista. Basandosi sul best seller omonimo di Emily Danforth, la giovane regista è riuscita a non cadere mai nel cliché, lavorando molto sugli attori, zigzagando tra i luoghi comuni e confezionando un prodotto forse un filo troppo pulitino ma che le è valso il Gran premio della giuria al Sundance Film Festival.

Merito di un approccio delicato e di un cast meraviglioso. Intanto la già citata Chloë Grace Moretz, il cui personaggio non è ben definito a causa di una parabola non chiara e giustificata. Ma ci pensa proprio Chloë a conferire con mille sfaccettature, solidità e spessore alla sua Cameron. Poi c’è Sasha Lane nella parte di Jane Fonda che in quel covo di matti diventa un po’ la migliore amica di Cameron. Attrice di origine Māori, da seguire dopo il suo esordio nel fantastico American Honey del 2016 (con un’altra donna al volante l’immensa Andrea Arnold). Il terzetto di amici ribelli si chiude infine con Adam Red Eagle, interpretato dal giovane attore nativo americano Forrest Goodluck. Anche lui alla seconda prova dopo l’esordio in Revenant di Alejandro González Iñárritu, dove ha interpretato Hawk, il figlio del personaggio di Leonardo DiCaprio.

Giovani, belli e desiderosi di esprimere i loro naturali istinti, in faccia ai metodi incivili dei fondamentalisti religiosi americani.

Alla fine ne viene fuori appunto un coming of age delicato e strappa baci, che sembra il frutto dei primi lavori della coppia Noah Baumbach/Greta Gerwig (Il calamaro e la balena o Lady Bird), ideale per le scuole, le famiglie non salviniane e/o timorate di Dio.