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La Dea Fortuna – La Recensione

L’universo ozpeketiano non giunge nuovo e/o innovatore nel panorama cinematografico italiano.

I suoi personaggi, i suoi luoghi, la comunità ma soprattutto le dinamiche che il regista ha composto nella sua carriera (siamo al 13mo film in 24 anni) fanno parte di un’unica avventura. Un’esperienza narrativa che riesce ad ogni capitolo di arricchirci un po’. In tal senso l’autore turco naturalizzato italiano o forse sarebbe meglio dire romano, sembra quell’anziano zio che ti racconta sempre la stessa storia ma che ad ogni occasione si arricchisce di un dettaglio o di una nuova emozione.

Forse per questo Ferzan Özpetek avrà sempre un suo pubblico fedele.

Il film è ambientato in parte a Roma, non più nel quartiere di Testaccio, tanto caro al regista bensì nella meravigliosa Casa del Sole detta anche la Casa a gradoni, edificio residenziale in zona Piazza Bologna. Qui vivono Arturo/Stefano Accorsi e Alessandro/Edoardo Leo , uno scrittore e un idraulico, che fanno coppia da oltre quindici anni.

I due si ritrovano a doversi occupare dei bambini dell’amica Annamaria/Jasmine Trinca, costretta ad un ricovero ospedaliero. Le dinamiche rodate dei due innamorati verranno però messi a dura prova dagli eventi inaspettati, facendo sorgere fantasmi del passato e segreti del presente.

La Dea Fortuna, religiosità pagana è intesa come speranza nel domani a costo del sacrificio dell’oggi. 

Il film nato da un’esperienza personale accaduta al regista, si propone come una sofisticata una dramedy italiana. Dall’altra parte permette a Özpetek di innestare in questa pellicola apparentemente leggera e stilosa, importanti elementi metaforici. Sussurrando allo spettatore l’invito a riflettere sulla famiglia moderna. Anche se un po’ sacrificata ad esempio, risulta meno periferica del suo minutaggio la storia parallela tra Ginevra/Pia Lanciotti e Filippo/Filippo Nigro. Ritornano poi alcuni stilemi del regista come le allegorie pittoriche e architettoniche che arricchiscono lo spessore artistico del film senza appesantirne la trama.

Poi c’è l’acqua ancora una volta catartica, quando bagna gli amici che ballano o nella scena finale quando ciascun membro di questa nuova inaspettata famiglia esegue il rituale della Dea Fortuna, insegnato loro da Annamaria.

Volendo anche Özpetek che gioca ad un ammiccamento metacinematografico, come se fosse una telecamera o una macchina fotografica che imprime per sempre un’immagine, basta solo guardare qualcuno per poi chiudere gli occhi per riaprirli subito dopo rapendone il cuore. Un gesto semplice che serve a tenere con sé per sempre una persona a cui si tiene.

Forse il film meno ombelicale di Özpetek, probabilmente quello che piacerà di più e non solo ai suoi fedelissimi.