Home Rubriche Outsider La Bestia (1975): l’opera maudit di Walerian Borowczyk

La Bestia (1975): l’opera maudit di Walerian Borowczyk

La Bestia è ambientato interamente in una ricca e sperduta proprietà della campagna francese. Qui il Conte Pierre de l’Esperance (Guy Tréjan) allestisce i preparativi del matrimonio tra suo figlio Mathurin (Pierre Benedetti) e Lucy Broadhurst (Lisbeth Hummel).

Lo scopo è vecchio quanto l’istituzione stessa del matrimonio: consolidare i rispettivi patrimoni. Attraverso i sogni della bella Lucy si snoda parallelamente la storia della moglie di Pierre, Romilda (Sirpa Lane). La donna viene violentata da una creatura simile a un orso, una bestia appunto. Evento che ha portato alla successiva nascita dello stesso Mathurin.

L’opera più nota di Walerian Borowczyk è cinema maudit. Il suo scopo è quello di destabilizzare l’ordine costituito di matrice borghese e cattolica, attraverso l’oltraggiosa, animalesca e scabrosa liberazione sessuale.

“Monsieur Boro” grazie a La Bête porta a termine e paga le conseguenze di un processo di demistificazione della grigia facciata ipocrita dei sistemi sociali. L’abbattimento di una società ancora noiosamente radicata alla sua matrice benpensante e cattolica.

Un’opera deflagra nei circuiti dell’intellighenzia critica mitteleuropea nel 1975. Curiosamente lo stesso anno Pier Paolo Pasolini firma Salò o le 120 giornate di Sodoma e Peter Weir la sua opera manifesto Picnic at Hanging Rock. Proprio quest’ultimo titolo ci offre lo spunto per enucleare l’essenza rivoluzionaria tutta al femminile de La Bête.

Tacciata di mettere in scena un’esibizione impudica di una donna-merce, La Bestia rappresenta esattamente e sottilmente il contrario.

“Je l’ai rencontré et combattu”. Dice Romilda de l’Espérance, riferendosi alla bestia. Perché, a dispetto delle prevenute critiche, il suo cinema antimachista di Borowczyk, è sempre stato fervida e grottesca esplosione dell’immaginazione di donne consapevoli del potere sovversivo e liberatorio della sessualità femminile.

Come scrive Fabio Giovannini, ne Il cinema di Walerian Borowczyk: “Là dove le donne liberano il proprio desiderio, l’intero castello maschile si sgretola, entra in crisi, tracolla”. “La donna è il punto di fuga dell’amore” scrive Enrico Magrelli “è il cuore della spirale che avvolge e distrugge i ‘destini narrativi’ dei personaggi maschili; è il macchinario erotico per eccellenza”.

L’erotismo lussurioso delle figure femminile borowczykiane rappresenta inoltre una risposta/alternativa estetica (e non solo) al porno chic virile ed esibizionista dell’Ultimo tango a Parigi firmato tre anni prima da Bernardo Bertolucci.

“La bestia”, rappresentò per Borowczyk anche l’inizio della fine. L’opera trascinò l’autore in “una spirale di battaglie legali, sequestri della censura, polemiche giornalistiche, diffidenze dei critici, recriminazioni delle femministe, ostilità dei festival internazionali.” Un succès de scandale che relegherà il film al circuito “a luci rosse” (come avvenne ad esempio in Italia).

Ancor peggio definirà senza mezzi termini Borowczyk non più enfant prodige del cinema europeo ma vecchio sporcaccione. Una parabola che per certi versi ricorda quella del nostrano Marco Ferreri, messo alle corde per il suo vivace tratteggiamento della società borghese nei suoi aspetti scatologici attraverso un corollario di immagini grottesche ed estreme.