Home Rubriche Oriente Kurashikku: i classici del cinema giapponese – Midaregumo di Mikio Naruse (1967)

Kurashikku: i classici del cinema giapponese – Midaregumo di Mikio Naruse (1967)

Ci sono eventi che travolgono la nostra esistenza, eventi che segnano il nostro modo di essere e con i quali dobbiamo imparare a convivere. Nel bene come nel male. Il passato è qualcosa alla quale non si può sfuggire, “bisogna scendere a patti con il passato e con ciò che è accaduto”, per parafrasare ciò che ha detto il regista filippino Lav Diaz in una bellissima intervista (potete trovarla qui). È questa l’anima di Midaregumo (internazionalmente noto come Scattered Clouds o come Two in the Shadow), il canto del cigno di Mikio Naruse, uno dei grandi maestri del cinema giapponese classico, spesso accostato al nome di Yasujiro Ozu. Uno shomingeki, un film sull’uomo comune che deve affrontare i drammi del vivere quotidiano. Non accade nulla di straordinario in questo gioiello, che racconta due modi diversi di affrontare la medesima tragedia: quello di Yumiko (Yoko Tsukasa), una donna rimasta vedova dopo un incidente nel quale il marito è stato investito, e quello di Shiro Mishima (Yuzo Kayama), l’uomo alla guida della vettura che ha ucciso il marito di Yumiko.

Il dolore della perdita, quello della donna, ed il dolore della colpa, quello dell’uomo. La macchina da presa di Naruse ci mostra la duplice elaborazione di un trauma, sfruttandola come pretesto per riflettere sulla condizione umana e sulla natura dell’essere umano stesso. I due protagonisti, eroi morali in un mondo amorale, si scontrano sia tra loro che con l’umanità che li circonda. Una vedova ed un carnefice, reputato innocente dalla giustizia, sono molto più vicini tra loro di quanto lo siano con le persone a loro care. Shiro è un uomo puro di cuore, divorato dal senso di colpa che cerca di espiare versando del denaro alla donna, nella speranza di alleviare le proprie pene e quelle di lei. Yumiko, però, non vuole aiuto da chi ha ucciso il marito, anche se ritenuto innocente dai giudici; non vuole aiuto da nessuno, vuole solo trovare la forza di affrontare il dolore e di superarlo, ricominciando a vivere la propria vita senza l’ombra tetra della perdita del marito.

Non si può sfuggire al passato, in Midaregumo.

In Midaregumo la tragedia è forza respingente ed attrattiva allo stesso tempo. Inizialmente, infatti, i due personaggi sono distanti, Yumiko repelle Shiro, ricolma d’odio e rimorso per l’uomo. Cerca conforto nelle persone vicine a lei, che però si rivelano essere insensibili al suo dolore, interessate solo al denaro che Shiro vuole donare alla protagonista e che lei non vuole accettare. Allo stesso modo, l’uomo viene abbandonato da tutti a causa della colpa di cui si è macchiato: perde il lavoro e la fidanzata lo lascia per la decisione di rinunciare a molto denaro per aiutare la vedova; solo la madre gli resta vicino, unico personaggio positivo, che cerca di avvicinare i due protagonisti, tra i quali si aprirà un piccolo spiraglio verso l’elaborazione del dolore e del trauma. Tuttavia, non v’è via di fuga dal passato, che pedina i protagonisti come un’ombra dalla quale è impossibile separarsi, e prima o poi colpirà con forza rievocando tutti i fantasmi ed i dolori di eventi che si credevano lasciati alle spalle.

Naruse, alla fine della propria carriera, realizza uno dei trattati sul dolore e sulla colpa più delicati della storia, un film poco conosciuto di un autore altrettanto poco conosciuto, specialmente qui in Italia, che trasforma lo spettatore, come accade con Viaggio a Tokyo di Yasujiro Ozu: una volta finito il film, infatti, non si è più la stessa persona che si era prima della visione, perché Naruse riesce ad insinuarsi nella mente dello spettatore e a porlo dinnanzi a sé stesso, facendolo riflettere su argomenti sui quali, normalmente, non ci si sofferma. Seppur in modo diverso, anche Mikio Naruse, come il collega Ozu, dirige un film dalla regia minimale, che lavora per sottrazione, in modo da permettere a chi guarda di focalizzarsi sulla storia e sul messaggio: non ci sono virtuosismi, non ci sono movimenti di camera articolati né composizioni complesse ma c’è tanta eleganza. Spesso Naruse gioca con la profondità, ponendo elementi importanti in secondo piano e fuori fuoco, sottolineando costantemente il desiderio dei protagonisti di lasciarsi alle spalle il trauma e di distaccarsi dal dolore. Come dicevamo, eleganza. Tanta, tanta eleganza.