Home Speciale Interviste Intervista all’attore Paolo Gasparini dall’esordio con Christian De Sica a ZeroZeroZero

Intervista all’attore Paolo Gasparini dall’esordio con Christian De Sica a ZeroZeroZero

Paolo Gasparini, classe ’68, nato a Salerno e con 25 anni di carriera come attore tra film e serie tv nazionali e internazionali.

Partiamo dalla tua ultima apparizione nella meravigliosa serie Sky Zerzerozero di Sollima.

“E’ stata un’esperienza fantastica. Una di quelle occasioni che si colgono al volo e per la quale ringrazio di cuore la responsabile casting Laura Muccino. Lavorare in questa serie mi ha costretto a mettermi alla prova fisicamente e psicologicamente. Un’esperienza formativa ma anche logorante per certi versi. D’altronde non mi aspettavo nulla di diverso da un regista come Sollima, che a mio giudizio è una delle firme più autorevoli del cinema italiano. Anche se in serie tv di questo livello lavori con più registi, la mia personale esperienza con lui è stata fantastica poiché è un autore che lavora molto sulla recitazione.”

In che senso è stata un’esperienza logorante?

“Una produzione di questo genere di obbliga a lavorare in tempi stretti, a spostamenti notturni da una location all’altra. Devi dare il meglio di te sempre e in qualsiasi circostanza, senza sapere quale cut andrà nel montaggio finale e se ci andrà. Tutto però compensato dalla professionalità del cast, della troupe e da una terra fantastica come la Calabria. Non avrei mai immaginato tanta meraviglia artistica e paesaggistica come quella dell’Aspromonte. Per certi versi emblema delle potenzialità inespresse del nostro paese.”

Hai recitato in dialetto calabrese, convincendo anche molti calabresi eppure tu sei di Salerno, come sei riuscito ad ottenere un risultato così credibile.

“Il lavoro sul dialetto fatto insieme al dialect coach non era solo per replicare quello calabrese ma nello specifico quello della zona in cui è ambientata la storia. Le province calabresi hanno dialetti molto diversi tra di loro. In questo sono stato facilitato anche da una mia personale passione per le lingue e i dialetti. Inoltre proprio per l’internazionalità di questa coproduzione, ci siamo trovati spesso a parlare in inglese ma anche in francese e in spagnolo. D’altronde se vuoi fare questo mestiere le lingue sono fondamentali.”

Ti sentiresti di dire che questo è il consiglio più importante per chi vuole fare questo mestiere?

“La preparazione certo, lo studio, ma si… assolutamente, la conoscenza delle lingue è essenziale per lavorare e non porre limiti alle possibilità”

Per te non è la prima volta in una produzione internazionale, nel 2017 hai recitato in War Machine di David Michôd, un’importante produzione Netflix con Brad Pitt e Tilda Swinton. Parlaci un po’ di quell’esperienza.

“Qualche anno fa per amore (di una ballerina di tango argentino!) mi sono trasferito a Londra. Sradicarsi dalla città in cui si lavora da anni, può essere pericoloso per la carriera. Ma c’è un ma. La BBC trasmette il meglio della produzione televisiva italiana e quindi le mie esperienze in particolare il Il maresciallo Rocca e Montalbano mi sono tornate molto utili. Un giorno mi sono presentato ad un casting quasi per caso, convinto che si trattasse di un filmaccio d’azione di serie B. L’intensificarsi dei provini mi ha fatto capire che si trattava di ben altro, poche settimane dopo ero sul set col regista Michôd, che il primo giorno di riprese mi ha detto: “Paolo tu conosci Brad vero?!”, beh alle mie spalle c’era proprio lui Brad Pitt in carne ed ossa. C’è mancato poco che non svenissi! E’ stata un’esperienza fantastica e anche in questo caso circondato da gente simpatica e professionisti di alto livello.”

Riavvolgiamo il nastro e andiamo al 1995 quando hai esordito in Uomini uomini uomini di Christian De Sica, cosa ricordi dei tuoi primi passi.

“In realtà bisognerebbe riavvolgerlo ancora un po’. Sono arrivato a Roma e ho iniziato subito a studiare. Il mio primo importante mentore è stato Giancarlo Cobelli, un maestro straordinario, una delle figure più carismatiche e rappresentative del teatro italiano, oltre che allievo di Peter Brook, tanto per intenderci. Dopo primi lavoretti e mi sentivo già un attore ma in breve tempo mi trovai sul lastrico, giovane e squattrinato. Sono stato costretto a fare lo spogliarellista in un club. Non tutto succede per caso e un giorno venni ingaggiato da un collaboratore di Christian De Sica che stava preparando il suo Uomini uomini uomini, in cui serviva un attore che sapesse muoversi come un professionista nello strip-tease.

Ancora rido pensando che molti attori danno il loro primo bacio sul set a bellissime attrici, mentre il mio lo diedi sotto la doccia ad Alessandro Haber. Per molti anni sono stato una vera e propria icona gay!”

Parliamo dell’attuale situazione italiana e in realtà mondiale, come vedi il futuro del cinema nel post-Covid.

“Penso che il cinema troverà la sua strada. Oggi, senza mancare di rispetto a nessuno, i protocolli per il set sembrano un po’ ridicoli, ma sono misure straordinarie legate al momento storico, in futuro tutto ritornerà alla normalità.

Al cinema, quello vero, può servire molto poco se hai il talento e una buona idea. Pensa a Festen di Thomas Vinterberg e a tutto il manifesto Dogma 95, una telecamera “amatoriale”, audio in presa diretta, luci naturali, ma anche attori pazzeschi e una grande sceneggiatura. Ripeto il cinema troverà la sua strada. Il vero cambiamento è ovviamente la tendenza alla serialità e la distribuzione sulle piattaforme streaming, questo si che ha cambiato il prodotto.”

In meglio o in peggio?

In modo che sia più direttamente connesso ai gusti del pubblico. Certo i film vengono scritti, diretti e recitati dai professionisti ma è il pubblico che da casa decide le sorti di una serie.

Colgo la palla al balzo, tu che sei un professionista ma anche un grande fruitore del prodotto finito, hai qualche film o serie da consigliare?

“Uhmm potremmo stare qui ore a parlarne, ma il primo che mi viene in mente è Kodachrome, film del 2017 diretto da Mark Raso con uno straordinario Ed Harris.

Da vedere anche Fauda, serie tv israeliana su Netflix e che racconta la storia di un ufficiale delle forze speciali Mista’arvim. Molto equilibrato anche nell’affrontare la delicata questione palestinese. E poi Call My Agent! (in francese Dix pour cent) serie perfetta per chi vuole fare questo mestiere.”

Diciamolo sei un vero e proprio spacciatore di serie Tv, ma dovendone dire solo una?

“Beh ovviamente ce ne sono tantissime da Breaking Bad a Game of Thrones, ma per me un classico assoluto rimane E.R., sia in termini di scrittura, strutturata ed elegante, che per la recitazione.”

Prima di congedarti volevo farti un’ultimissima domanda, ci sono progetti per il futuro?

“Adesso ovviamente è tutto fermo e ci vorrà tempo prima di ripartire, mi sto dedicando al doppiaggio anche se l’esperienza umanamente più gratificante è quella che riprenderemo a breve in una scuola di recitazione a Trastevere, dove insegno agli anziani. E’ uno scambio reciproco meraviglioso che consiglio a tutti, passare del tempo con persone che hanno un bagaglio di esperienza e saggezza del genere è impagabile. Hanno scritto loro stessi uno spettacolo che s’intitola “Vuoti di Memoria”, da qui si evince la loro ironia nell’affrontare certi argomenti. Ad esempio un giorno mentre gli dicevo che la recitazione è un percorso molto lungo e che non bisogna avere fretta, dal fondo uno degli attori col deambulatore mi urla: “Paolè ma io ho 90 anni e un po’ di fretta ce l’avrei!!