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INTERVISTA AL REGISTA RAI FILIPPO DE MASI!

Buongiorno Filippo! Cominciamo con una domanda un po’ banale: come nasce la tua passione per il cinema? Attraverso quali film?

Sono nato in una famiglia nel cui salone di casa c’era una moviola che serviva a mia madre per il suo lavoro di direttrice di doppiaggio e nella stanza insonorizzata accanto c’era lo studio con il pianoforte di papà che componeva, in quegli anni, almeno due, tre commenti al mese. In giro c’erano copioni, sceneggiature, pizze con i rulli dei film in pellicola. A cena ospitavamo sempre registi, produttori, attori ed editori musicali… non si parlava di altro se non di film appena finiti, film da girare, progetti da sviluppare, doppiatori da convocare… Cosa altro potevo fare nella vita? Invero a 18 anni mi sono iscritto a medicina veterinaria ed ho dato 12 esami perché l’altra mia passione, oltre la regia, sono sempre stati gli animali. Ma poi sono tornato a Roma (la facoltà di medicina veterinaria più vicina alla capitale era a Perugia) e con l’aiuto di mia madre che mi ha “affrancato” a Neri Parenti al quale ho fatto da assistente volontario per “Fantozzi alla riscossa”, è cominciata la mia carriera nel mondo del cinema e della regia. Detto ciò e per rispondere esaudientemente alla tua domanda, devo confessare che negli anni della mia infanzia (quelli in cui mi sono formato anche nel carattere) in Italia c’era un Cinema con la “C” maiuscola, si giravano centinaia di film l’anno e dovunque volgevi lo sguardo potevi imparare questo splendido mestiere. A discapito dello studio (non ero proprio brillante a scuola) passavo giornate (e nottate) a guardare qualsiasi cosa venisse trasmessa dai canali della televisione pubblica e da quelli commerciali, le televisioni private. Mario Bava, Enzo Girolami, Riccardo Freda, Lucio Fulci, Mario Cajano, Umberto Lenzi, Camillo Mastrocinque, Sergio Martino e tantissimi altri maestri, sono stati i miei grandi idoli. Ma se devo scavare ancora più a fondo confesso che lo sceneggiato che ha cambiato per sempre la mia vita è stato “Pinocchio” di Comencini: con quei colori così aspri, con le caratterizzazioni puntuali e spesso spaventose, la superba colonna sonora del maestro Carpi (ancora oggi mi ci faccio dei pianti colossali), il tutto arricchito da un Nino Manfredi senza pari e da una regia che andrebbe fatta studiare nelle scuole di cinema…

Nel 1991, a 24 anni ti iscrivi al Centro Sperimentale e ti diplomi come Operatore. Prima del 1991 sei stato doppiatore di una serie di film, cartoni animati e serie tv. Ci vuoi raccontare di queste tue prime due esperienze formative nel mondo del cinema?

Nel 1977, avevo 10 anni, papà scrisse la colonna sonora per un film di un suo carissimo amico regista: Walter Santesso. La pellicola si intitolava “La carica delle patate” ed era una sorta dei “Ragazzi della via Paal” ambientato a Venezia. Due bande di adolescenti si scontravano per avere la supremazia territoriale di un parco, fin quando ad una bambina viene rubato un gatto e lei si ammala per il dispiacere. Le bande si uniscono per scoprire il colpevole e finisce con una colossale guerra scatenata nei confronti di un gruppo di “super cattivi”, che i ragazzi combattono armati di patate! Il regista stava cercando dei bambini per doppiare i giovani attori che avevano un accento troppo segnato dal dialetto. Frequentando spesso casa nostra Santesso mi propose di andare a fare i provini e, contro la volontà di mamma partecipai. Manco a farlo a posta vinsi uno dei ruoli da protagonista. Così iniziò la mia carriera di doppiatore… Dopo quell’esperienza cominciai a lavorare al ritmo di due turni al giorno (il terzo della mattina non lo potevo fare per via della scuola) e recitai per un centinaio di film. Sicuramente il ruolo che ricordo con più affetto è quello di Sean, il bambino che ne “Lo Squalo 2” si fa portare dal fratello in mezzo al mare in barca a vela e rimane impantanato in uno scontro con il pesce più cattivo della storia del cinema. Per la cronaca, in oltre 20 anni di professione come doppiatore non ho mai fatto un solo turno con mia madre che non mi ha mai chiamato! “Figurati che direbbero se chiamassi mio figlio…”. Dopo la mia assunzione in Rai ho continuato a “dare la voce” per moltissimi documentari di “Alle falde del Kilimangiaro” programma per il quale ho lavorato dal 2000 per cinque anni e per “Voyager” dove lavoro tutt’oggi come regista.  Ma andiamo in ordine.    Nel 1991 avevo appena finito i primi lavori come assistente prima e come aiuto regista poi. Decisi che se veramente avessi voluto fare il salto per diventare regista, avrei dovuto studiare. Studiare non significava solo aprire libri e darci dentro, voleva dire soprattutto conoscere i mestieri! Non si può fare il regista se non si conoscono a fondo gli obiettivi, le luci, la macchina da presa e la fotografia. Al centro sperimentale c’era un corso di operatore e mi ci fiondai! Una bella esperienza che ancora oggi mi dà i mezzi per lavorare bene e sapere cosa chiedere e cosa pretendere dai collaboratori che lavorano dietro la telecamera. In poche parole un regista ignorante per me non può essere un buon regista.

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Nel 1990, tra l’altro, contribuisci alla sceneggiatura di FANTAGHIRO’ 3…

Avevo conosciuto Gianni Romoli sempre tramite mamma il quale per mettermi alla prova mi propose di scrivere delle piccolissime scene per la fortunatissima serie di Lamberto Bava. Ripeto, piccolissime scene! …Che però mi hanno dato l’opportunità di conoscere un grandissimo professionista! La prima cosa che mi ha insegnato è stata quella di lavorare con grande impegno per ciò che ti piace ma soprattutto per ciò che non ti piace fare. Sembra una stupidaggine ma è stata una lezione fondamentale. Così dopo l’operatore, la fotografia ed il doppiaggio, avevo imparato anche come si scrive!

E’ come assistente alla regia in FANTOZZI ALLA RISCOSSA di Neri Parenti che arriva la tua prima esperienza di responsabilità in un set?

Già… il set ti insegna come nessun altra esperienza a mettere in pratica ciò che leggi sui libri. Stare per quasi sei mesi (tra set e preparazione) dietro a Neri è stata la prima vera lezione sul campo. Ma la mia maestra in quell’occasione fu Maria Pia Rocco, l’aiuto che per anni ha collaborato col regista toscano. Lei mi ha insegnato il lavoro durissimo dell’aiuto regista: da come si esegue lo spoglio della sceneggiatura, al movimento delle comparse sulla scena, alla preparazione del set, fino all’arrivo al montaggio… un mondo! In quel film ebbi modo di conoscere Paolo Villaggio, Gigi Reder, Anna Mazzamauro, Milena Vukotic ed il simpaticissimo Plinio Fernando (Mariangela). Ma non solo; con il massimo rispetto entrai in contatto anche con due tra i più grandi sceneggiatori della storia del nostro Cinema: Benvenuti e De Bernardi. Bruno Zambrini, il compositore della colonna sonora lo conoscevo da anni perché suo figlio Alessandro era (ed è) il mio migliore amico.

Gli anni 90, mi sembra di capire, sono fondamentali per la tua crescita professionale e lavorativa. Sei aiuto-regista, direttore artistico e soprattutto assistente al programma di una serie infinita di programmi tv Rai. Una delle tue mansioni principali è stata quella di intervistare un buon numero di cantanti italiani, o meglio di “pilastri” della musica italiana!

Curavo tanti programmi sia televisivi che radiofonici. La regia alla radio era una cosa divertentissima anche se pagata davvero male! In quanto ai cantanti italiani, li ho conosciuti praticamente tutti! Da Dalla a Pino Daniele; da Concato a Cocciante; da Ligabue a Umberto Tozzi ai Matia Bazar a Guccini, da Vecchioni a Claudio Baglioni a Renato Zero, fino al maestro Ennio Morricone. Assieme ad un giornalista molto in gamba che si chiama Claudio Spagnuolo, prendevamo il nostro “Nagra” a nastro e andavamo nelle case discografiche a registrare le interviste che poi tagliavo e musicavo per una trasmissione che si chiamava “Fantastica – Mente” condotta dalla scrittrice Cinzia Tani. Il programma andava in onda tutte le domeniche mattina alle 8,30 sul secondo canale di radio Rai: radio due. Per due anni ogni domenica mi sono alzato alle sei e ho raggiunto gli studi di via Asiago (quelli dove oggi si fa il ruggito del coniglio; sei uno zero ecc.) con occhiaie da coppa del mondo dei disperati, per seguire la messa in onda.

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Lavori anche con Mario Cajano per un film televisivo, MAI CON I QUADRI. Che ricordo hai di lui?

Fare un film come aiuto regista di Mario Cajano è stato per me come prendere 15 lauree. A parte il fatto che era una persona di una classe, una cultura ed una sensibilità senza eguali, Mario sapeva come nessun altro il suo mestiere! Era capace di risolvere un dialogo a otto persone in una stanza con tre inquadrature e senza perdere mai il filo della classe e dell’eleganza stilistica. Ma non solo. Amava parlare con gli attori e sapeva ascoltarli per fare in modo che potessero rendere sempre al meglio. Non l’ho mai sentito alzare la voce con la troupe ed era adorato da tutto il cast: dall’attore più famoso all’ultimo degli elettricisti. Quando sono andato a trovarlo a casa qualche anno fa per girare un’intervista sulla colonna sonora di “Napoli spara!”, composta da papà ed edita dalla storica Beat Records, l’ho trovato straordinariamente lucido anche se abbastanza affaticato. Tra noi c’era un bellissimo rapporto e io avevo per lui una tale ammirazione che, quando qualche anno prima mi chiamò per fargli da aiuto in un’altra serie per la Titanus dal titolo “Il commissario”, andai dal direttore di Radio Uno dove stavo lavorando e gli dissi che mi sarei licenziato il giorno dopo. Poi per ragioni schifosamente politiche la regia della serie fu assegnata ad Alessandro Capone e io lasciai il film per rispetto verso il mio maestro. Per la cronaca la serie andò malissimo e venne sospesa per i bassi ascolti dopo due puntate… con Cajano non sarebbe mai successo! Girammo a Pescia, a pochi chilometri da Lucca. Il Film era tratto da un bel romanzo di Federico Zeri… un giallo sui furti di opere d’arte. Il protagonista era Daniele Liotti e nel cast c’erano anche Pierre Cosso, Mariano Rigillo e un giovanissimo Alessio Boni. Un aneddoto che posso raccontare è che a tre quarti delle riprese, una notte, fece una nevicata colossale che seppellì tutti i nostri set sotto un metro di neve. Una tragedia! Non tornava più niente. Panorami che fino al giorno prima erano spogli e completamente autunnali, quello successivo erano bianchi ed innevati. Dovemmo cambiare tutti i piani di produzione spostando gli interni prima degli esterni e sperando che si sciogliesse la neve.

Nel 2001 collabori con la Fininvest come aiuto regista per una serie poliziesca…

In vero come ho detto poco fa, iniziai a lavorare con Mario Cajano alla serie che si chiamava “Il commissario”. Feci lo spoglio di otto puntate complicatissime e iniziai il casting. Poi all’improvviso la Fininvest, che commissionava la serie, contattò la Titanus ordinando che Cajano venisse sollevato dalla regia per fare posto ad Alessandro Capone. Mario era troppo schierato a sinistra e questo non andava bene al produttore per ragioni sin troppo evidenti. Io andai dalla segretaria di Lombardo e le dissi che se andava via Cajano lasciavo pure io… e così fu. Niente contro Capone che era una persona gentilissima e cordiale, ma io ero stato voluto da Mario e senza di lui non mi ci vedevo proprio. Inoltre l’aiuto di Capone con la quale avrei dovuto collaborare era una stronza colossale. Tutto ciò che andava bene era merito suo e quello che non funzionava era colpa mia. Io però avevo fatto lo spoglio e tutti i file erano sul mio computer. La stronza non sapeva nemmeno quale fosse il tasto per accendere il computer, così cancellai tutto il MIO lavoro dai computer della Titanus e me lo portai via. La sera prima del primo giorno di riprese mi implorò di andare sul set per darle una mano ma nemmeno le risposi al telefono… . Anche questa fu un’esperienza.

Lavori molto anche con RAI EDUCATIONAL. Che tipo di esperienza è stata per te?

Rai educational era un’oasi felice all’interno della televisione pubblica; non avevamo l’ansia dello share e degli ascolti e si potevano realizzare lavori di qualità, di altissimo livello artistico. Fu la mia prima esperienza in Rai. Venni chiamato da Franco Scaglia, scomparso da poco, persona di una cultura decisamente sopra la media, il quale mi disse che stava mettendo su una squadra di professionisti giovani ma esperti per realizzare dei programmi innovativi per la televisione pubblica. La paga non era certo eccezionale, guadagnavo in un mese quello che nel cinema mi davano per una settimana, ma mettere un piede nella televisione pubblica, quella che mi aveva regalato Pinocchio… mi allettava parecchio. Così collaborai per diversi programmi, tra gli altri ricordo “Caramella”, una deliziosa trasmissione per bambini; “L’occhio sulla musica” dedicata alla musica classica ed alla lirica; “Magico e Nero” una sorta di Voyager ante litteram dove il mistero faceva da protagonista.

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Nel 2005 sei attivissimo. In realtà non c’è stato un anno in cui tu non sia stato lavorativamente attivo! In particolari lavori ad un programma tv di Rai 3 che ho sempre amato, ALLE FALDE DEL KILIMANGIARO…

… E’ vero, erano anni in cui non mi fermavo un attimo. Producevo musica, giravo videoclip, cortometraggi e documentari. Avevo appena finito una collaborazione con Rai Educational dove avevo girato delle puntate per un corso di italiano per immigrati voluto dall’allora ministro Moratti quando Rai Tre mi propose di collaborare per la trasmissione condotta da Licia Colò. Accettai volentieri convinto di andare a girare per il mondo ma non fu esattamente così. Il lavoro il primo anno consisteva nel montare i filmini dei turisti che tornavano dalle vacanze con le immagini amatoriali. Dovevo vedermi ore di filmini amatoriali, scalettarli, scrivere una storia plausibile e montarla con immagini a dir poco traballanti. Alla fine della stagione però il capo degli autori mi chiamò e mi chiese se fossi disposto a girare per conto mio dei documentari che avrei dovuto vendere al programma. Ovviamente accettai e iniziai un lavoro che mi portò a realizzare nel corso degli anni qualcosa come 70 reportage girati in Australia, Sudan, Bosnia, Ucraina, Georgia, Polonia, Giappone, Cina, Vietnam, Laos, Spagna, Norvegia, Svezia, Irlanda, Islanda, Danimarca ecc. . Scrivevo, giravo con la mia troupe di fiducia, montavo, musicavo e speakeravo…

Nello stesso anno pubblichi un libro di poesie. Me ne vuoi parlare? Sono molto curioso!

Era nato da poco mio figlio Marco. Un giorno mi misi a pensare che era davvero un bambino fortunato con dei nonni che lo adoravano e un padre che si sarebbe gettato nel fuoco per lui. Ma era lo stesso per tutti i bambini del mondo? Leggevo spesso nei giornali e sui “social” storie raccapriccianti! Mamme che uccidevano i propri figli senza pietà; bambini costretti a lavorare ore per pochi centesimi; creature abbandonate nei cassonetti dell’immondizia; anime innocenti arse vive per colpa di stufe malfunzionanti all’interno di campi profughi… un’ecatombe di poveri angeli! Di getto mi vennero dei versi… poi altri ancora e ancora tanti altri! Li raccolsi tutti e li spedii ad un editore che mi propose un contratto a costo zero. Accettai e chiesi a Folco Quilici, caro amico di famiglia, di scrivere una prefazione. Il libro s’intitola “I bambini nel nostro inferno” ed è edito da Libroitaliano.

Nel 2006 pubblichi un altro libro, la biografia di tuo padre, il grande musicista Francesco De Masi!

La morte di mio padre nel 2005 ha segnato la mia vita in maniera indelebile. Non è vero che il dolore passa con il tempo, semplicemente ti abitui a conviverci. Ciò che più mi ha sconvolto non è la sua dipartita, cosa naturale, ma il fatto che con lui se ne sia andato quell’immenso bagaglio culturale accumulato in una vita! Volevo e dovevo fermare delle immagini, dei ricordi, delle sensazioni, stampandole su una biografia. Così mi misi a scrivere di notte, perché di giorno ero impegnato con lunghissimi turni di montaggio per “le falde del Kilimangiaro”. Alla fine proposi il lavoro a Franco De Gemini, l’editore di centinaia di dischi di papà e lui stampò la biografia che s’intitolava “Galoppando a cavallo di mio padre”. Nel libro ho raccontato non solo la sua carriera come musicista, ma anche aneddoti e vicende della vita privata accompagnando il tutto con fotografie davvero eccezionali per la loro semplicità. A brevissimo uscirà una nuova biografia molto più specifica e puntuale, dedicata al compositore italiano che ha scritto le colonne sonore di più film western nella storia del Cinema, che ha scritto il primo commento per un western in Italia, prima di Morricone, che ha insegnato, contemporaneamente alla carriera di compositore nei più famosi Conservatori italiani e che ha diretto le migliori orchestre del mondo, da quella del Maggio Fiorentino a quella di Mosca, di Chicago e di Berlino.

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Sei anche organizzatore di eventi! Hai organizzato “Cinevento”, un evento di cinema di genere italiano, con grandi ospiti…

Il “Cinevento Francesco de Masi” è un’iniziativa ideata da me e da Daniele De Gemini, volta a ricordare la figura di mio padre. Oggi siamo alla quinta edizione e ogni volta la festa diventa più grande. Il primo anno fu realizzata in una sola serata a Rocca Priora, paese dei Castelli Romani dove riposa mio padre. Invitammo e premiammo con una targa col nome di papà registi italiani e professionisti che si sono dedicati al Cinema d’azione: Umberto Lenzi, Lamberto Bava e Franco Micalizzi. Quest’ultimo propose un concerto di colonne sonore poliziesche che fece un successo straordinario. Ospiti d’eccezione Edda dell’Orso, Sandro Alessandroni e Franco De Gemini con la sua indimenticabile armonica. La seconda edizione si svolse a Pisa, fu dedicata al Cinema Western e vide come protagonista assoluto Enzo Castellari del quale proiettammo “Quella sporca storia nel west”. La terza fu un’apoteosi di pubblico: Dedicata all’horror vide come ospiti d’eccezione Zampaglione che premiammo per Tulpa, i Goblin che si esibirono con un concerto da brividi (nel vero senso della parola) e Fabio Frizzi che fece qualcosa come 2500 spettatori con un concerto che oggi propone in tutto il mondo ma che esordì al Cinevento di Rocca Priora. L’anno scorso abbiamo celebrato i 10 anni dalla scomparsa di papà con tre giorni che si sono chiusi con un concerto sinfonico eseguito dall’orchestra di Pescara diretta dal maestro Francesco Santucci che ha riproposto le colonne sonore più belle (molte delle quali inedite) di mio padre. Insomma il Cinevento mi porta via ogni volta dieci anni vita, ma è una festa alla quale ormai non so più rinunciare anche perché me la chiedono da tutto il mondo!

La tua carriera è di una varietà rara! Sei regista, programmista, doppiatore, intervistatore, poeta, scrittore…dimentico qualcosa? Non sei rimasto un secondo con le mani in mano nella tua vita. Dovresti essere un esempio per i giovani che vogliono farsi strada nel campo del cinema e tv …

Dimentichi un po’ musicista perché spesso, come Carpenter, mi piace scrivere brani per ciò di cui firmo la regia… Questa poliedricità, dicono mi sia data dal carattere tipico del mio segno zodiacale, i gemelli, ma siccome non credo a queste cose, preferisco affermare di essere dispersivo in quanto poi, a dirla tutta, non ho ancora deciso cosa fare da grande… Ai giovani posso consigliare solo di rimboccarsi le maniche, rimanere sempre umili  e “studiare” il più possibile perché oggi l’ignoranza non è ammessa in nessun campo.

Dal 2008 in poi approdi al celeberrimo programma tv VOYAGER, di Rai 2…

Voyager è un programma che amavo fin da prima che ci finissi a lavorare e ne diventassi il regista. Unisce il divertimento all’approfondimento e riesce ancora a sorprendere con il suo stile davvero unico. Nella televisione pubblica esistono tre programmi di approfondimento; due sono condotti da padre e figlio, immaginate il culo che ci siamo dovuti fare per imporci come il terzo… Non smetterò mai di ringraziare Roberto Giacobbo, una persona con un cuore grande e un’onestà intellettuale che raramente ho riscontrato in altri professionisti. Grazie alla sua professionalità ed alle sue idee innovative, ho imparato tantissimo e ho visitato mezzo mondo. A tutti quelli che pensano a Voyager come ad un programma che tratta temi infondati, voglio ricordare che tutto ciò di cui parliamo, dalla tesi che vuole Shakespeare siciliano a quella che vuole l’Odissea come una saga svolta nel Baltico, sono tesi di studiosi che hanno approfondito e pubblicato saggi di grande interesse. Tesi che noi non diciamo siano vere, le esponiamo lasciando allo spettatore la scelta di approfondire o non crederci proprio.

Nel 2010 giri il tuo primo lungometraggio, con budget molto basso, TH3 PIT! A me è piaciuto moltissimo! Mi puoi parlare di TH3 PIT nei dettagli?

“Th3 Pit” più che un film è un vero miracolo! E’ stato portato a termine da un gruppo di amanti del cinema ed in particolare del giallo a tinte horror con un budget di tremila euro e cinque giorni di riprese. Come è nato? Non lo so con precisione, avevamo tutti voglia di divertirci e ci siamo messi intorno a un tavolo per decidere cosa ci sarebbe piaciuto girare… facciamo un horror? Ma non abbiamo una lira… E chi se ne frega, l’importante è l’idea! Così chiamai Lorenzo De Luca, uno sceneggiatore tra i più bravi che abbiamo in Italia e che avevo conosciuto perché lo intervistai su Bruce Lee per Voyager e gli dissi: Lore’, mi serve una storia da girare senza soldi, con due, massimo tre personaggi, ambientato in un paese e che non richieda effetti costosi. Lui ci pensò un po’ poi mi propose questa idea tratta da un articolo che aveva letto sui ragazzi giapponesi affetti da Hikiko-Mori, una malattia che colpisce gli adolescenti i quali diventano schiavi di Internet. In Giappone provoca una marea di morti ogni anno e qui in Italia si sta iniziando a conoscere da un po’ di tempo. Per risparmiare tempo (e denaro) decidemmo di girarlo con la tecnica del POV (point of view), ossia facendo credere che ciò che vediamo è stato ripreso da una telecamera usata da un attore, come in “Blair Witch Project” o in “Rec”. Questo espediente permette di guadagnare moltissimo tempo in quanto le scene non vengono ripetute per girare campi, controcampi e dettagli, ma si riprendono una sola volta. Anche se portato a termine miracolosamente, il mio “piccolo” film ha avuto il merito di possedere tutti requisiti di un “fratello più grande”: una sceneggiatura con i controcazzi (scusate il francesismo); una colonna sonora frutto del lavoro di un grande giovane compositore, Furio Valitutti, registrata con orchestra d’archi e missata in uno dei migliori studi di Roma; un missaggio eseguito alla perfezione; un editing fatto da una montatrice che da anni collabora con la Rai e con le migliori produzioni; una troupe impareggiabile ed un cast artistico di tutto rispetto. P.S. Anche un backstage eseguito da un amico, Giuseppe Marino, che ha seguito a sue spese tutta la lavorazione del film. La mia creatura è uscita in DVD e la colonna sonora è stata stampata dalla Kronos Records. La rivista Nocturno, con Davide Pulici, ci ha premiato con tre teschi (davvero non pochi!) elogiando il nostro coraggio e quanto di questo sia uscito sullo schermo… cosa chiedere di più?

Negli anni a seguire, ti dividi tra Voyager e Cinevento, non sbaglio?

Non sbagli! Voyager è diventata la mia vita anche se nel (poco) tempo libero cerco sempre di rimanere in allenamento… ho girato due documentari sulle tradizioni uno a Rocca Priora sulla produzione di ghiaccio che si faceva per rifornire le ghiacciaie di Roma quando non esistevano i frigoriferi ed uno a Volterra sulla lavorazione dell’alabastro. Ho proposto una serie su un gruppo di Ghost Hunters a Magnolia, girando il numero zero al manicomio di Santa Maria della Pietà a Roma. Sto scrivendo una serie (per ora top secret) che vorrei proporre a Netflix e curo l’altra mia creatura, il Cinevento, preparando la sua quinta edizione.

Quali sono i film italiani degli ultimi anni che ti sono piaciuti di piu’? Oltre a ciò, quali sono gli horror italiani che ti hanno colpito di più?

Di sicuro il cinema italiano, dopo un periodo davvero buio, sta riprendendo vita. Sorrentino ha aiutato questo percorso di riabilitazione producendo film di grandissimo impatto che finalmente hanno abbandonato la “tragedia” del cinema d’impegno, fatto per due, tre persone e incomprensibile dopo la prima frontiera. Questo ha incoraggiato tanti giovani a tirare fuori qualcosa di nuovo, che però affonda le sue radici nel nostro passato di “genere”. Stefano Sollima, il compianto Claudio Caligari, Gabriele Mainetti, Federico Zampaglione, tanto per fare dei nomi, sono tutti frutto del nostro cinema degli anni ’70 che sta rinascendo dalle sue ceneri come una moderna Fenice. Fare una classifica dei film che mi sono piaciuti di più è impossibile, però posso dire che “Non essere cattivo” l’ho amato veramente tanto. Per quanto riguarda l’horror italiano, fatta eccezione per Zampaglione che mi ricorda molto il Dario Argento di Tenebre, siamo ancora lontani da una forma accettabile. Idee ne sento parecchie, molte delle quali interessanti, ma i produttori sono realmente incapaci di credere in qualcosa. Le realtà più belle arrivano, guarda caso, dal cinema indipendente che è la sorpresa migliore del nostro Paese. In particolare ho visto un film davvero strepitoso che consiglio a tutti di comprare (si trova facilmente in DVD… cacciamo ‘sti 10 euro cazzo!) firmato da Lorenzo Bianchini. Si chiama “Oltre il guado” (Across the river) e fa veramente paura!

Hai in progetto un altro lungometraggio dopo il gioiellino TH3 PIT?

Un paio di ideuzze le ho nel cassetto… appena troverò su un altro gruppo di pazzi disposti a credere a un povero visionario vicino ai 50 che ancora si diverte con queste cazzate…