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Intervista a Mariano Lamberti!

(segnaliamo ai lettori che in questa intervista non si parlerà del lungometraggio d’esordio di Mariano Lamberti, NON CON UN BANG, perchè tra qualche settimana uscirà una recensione dedicata al film)

Buongiorno  Mariano!  Come, quando e con quali film è cominciata la tua passione per il cinema?

A Pompei,  da  bambino mia madre mi parcheggiava al cinema, un po’ come fanno le madri di oggi con la televisione. Solo che i  miei ricordi sono incorniciati da quelle meravigliose architetture delle sale di provincia, purtroppo ormai quasi scomparse del tutto.

Ci puoi parlare dei primi cortometraggi che hai girato in 16 e  35 mm negli anni 90?

Si tratta di lavori artigianali, con troupe composte da amici, ex allievi del centro sperimentale. Oggi sono diventati grandi  professionisti, come il direttore della fotografia Antonio Grambone, mio collaboratore  e grande amico da oltre un ventennio. I soggetti sono tra i più disparati,  tratti  per lo più  da racconti, da Sciascia a Raymond Carver, a Proust. Di Proust ho messo in scena il suo incredibile racconto L’indifferente.

Furono girati con libertà produttiva e quindi anche creativa, ma paradossalmente anche con un linguaggio più convenzionale. Venivo dal centro sperimentale, dove il Canone estetico insegnato risente di una forte dipendenza da modelli neorealistici e autoriali anni’60. Di conseguenza, forse per insicurezza, usai un linguaggio un po’ derivativo. C’era come la voglia di apparire  un regista laureato, capace di servirsi di un linguaggio codificato, con poca voglia e coraggio di sperimentare. Oggi li rifarei diversamente.

Nel 1997 dirigi un documentario (tra l’altro distribuito da L’Unità),  “Una storia d’amore in quattro capitoli e mezzo”…

Questo documentario è stato scritto e concepito insieme a Roberta Calandra, scrittrice e drammaturga,  e nasce sotto presupposti molto diversi. C’era la voglia di comunicare contenuti urgenti (nuovi, se non addirittura inediti nell’Italia del 97). Si parla di famiglie omosessuali, di identità omosessuale,  dell’origine della scrittura. Il lavoro è  stato in parte autoprodotto e ha avuto una buona distribuzione. L’unità lo distribuì nelle edicole in 20.000 copie e vinse il premio del documentario italiano Libero Bizzarri.

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L’anno successivo, nel documentario “La ragazza di Parigi”, intervisti Claudia Cardinale. Che  sensazioni ti ha dato, sia a livello  emozionale  che  professionale, intervistare una delle  più grandi  e  amate  attrici italiane?

Claudia Cardinale, come figura appartiene all’immaginario collettivo del cinema, ma dal vivo è proprio la ragazza di Parigi a cui allude il titolo: una persona semplice di grande raffinatezza,  con un bagaglio di memorie e ricordi impressionante.  Un forziere della memoria del grande cinema italiano, che racchiude i Fellini e i Visconti.

Nel 2007 hai curato la regia della serie  tv Rai “Colpi di sole”. Che  tipo di  esperienza è stata?

È stato il mio primo lavoro da  regista  televisivo professionista. L’impatto è stato molto forte perché mi trovavo a confrontarmi con la sitcom e con i testi di Andrea ZaloneBeppe Tosco, oggi considerati autori di culto (il primo scrive i testi di Maurizio Crozza, il secondo quelli della Littizzetto).  Mi sono trovato a  dirigere un gruppo di bravissimi attori (scelti insieme alla RAI in grande libertà) con i quali ho fraternizzato per tutta la durata delle riprese.

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Dal 2000 in poi lavori molto per la tv, sia Rai che Mediaset!

In Mediaset ho lavorato per circa due anni (come sceneggiatore e  soprattutto come regista) per la scuderia di Alberto Tarallo. Di lui onestamente non ho un buon ricordo, per i suoi metodi un po’ subdoli e cinici da produttore della vecchia scuola. L’esperienza in sé è stata comunque formativa, poiché mi ha dato l’occasione di girare con grandi mezzi e budget milionari. C’era però sempre la sensazione di fornire materiale a un produttore che tutto sommato del risultato artistico e della tua persona fregava poco o nulla. Ovviamente non rimpiango nulla di quel periodo, ma non è certamente tra i miei ricordi preferiti.

Il 2012 invece è l’anno di uscita del tuo secondo lungometraggio, “Good as you – tutti i colori dell’amore”. Di cosa parla il film?

Mentre ero a Mediaset, ho lavorato anche su questo film dal budget molto piccolo ma decisamente più sentito. E’ la storia di quattro coppie gay che si incontro la notte di Capodanno. Una classica commedia degli equivoci, in cui con Riccardo Pechini, il mio sceneggiatore, mettevo a nudo le dinamiche amorose dei protagonisti. Che non hanno nulla di differente da quelle delle coppie eterosessuali. Un’occasione di parlare di amore e  sentimenti e non di omosessualità, come si fa in genere quando si raccontano al cinema gli omosessuali.

Questo si è un bel ricordo, anche perché questo piccolo film uscì in Francia nelle dieci città più importanti. Rimanendo in sala complessivamente per circa sei mesi. Successivamente il DVD è uscito in molti altri paesi, tra i quali Germania, Spagna, e recentemente anche gli USA, un risultato davvero atipico per un piccolo film italiano.

Sempre nel 2012 esce “Napoli 24”, un film-documentario del quale tu giri un episodio…

E’ stata un’esperienza abbastanza solitaria e particolare. Eravamo 24 registi napoletani, scelti tramite un concorso da Nicola Giuliano e Angelo Curti, con l’obiettivo di raccontare Napoli in tre minuti. Insieme formavamo un caleidoscopio di sensibilità e background artistici completamente diversi.C’erano anche nomi di rilievo come Paolo Sorrentino, Guido Lombardi e Pietro Marcello. In sé è stato un’esperienza per riavvicinarmi a Napoli e la sua mitologia, con la quale ho un rapporto molto contrastato di amore e odio.

Quali sono i film italiani che ti sono piaciuti di più negli ultimi anni?

Se  devo essere sincero, non ho pellicole italiane tra i miei film preferiti di questi anni.  Mi piace molto Matteo Garrone, lo trovo sempre interessante, così come trovo apprezzabile il primissimo Sorrentino. Succede che un film italiano mi colpisca positivamente. Ma lo ammetto: non faccio follie  per una cinematografia che vive di rendita e di finanziamenti pubblici.

In questo periodo stai lavorando a qualche nuovo lungometraggio? Quali sono i tuoi progetti futuri?

Quest’estate dovrei iniziare il film al quale sto lavorando da circa 10 anni sempre con il mio inseparabile Riccardo  Pechini. Si intitola Bandiera rosa, ed è un progetto molto ambizioso e non solo perché è un film in costume che si svolge a Londra negli anni 70 ( il mio decennio preferito) ma soprattutto perché racconta un personaggio così complesso, iconico  (pur se frettolosamente dimenticato) come Mario Mieli. Sarà un’avventura affascinante, estremamente impegnativa e, per fortuna, anche rischiosa. Credo che il rischio sia una componente necessaria per chiunque abbia l’ambizione di fare vero cinema.