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Il Muro di Berlino raccontato al cinema, da Billy Wilder a Good Bye, Lenin.

“Che strano, non è cambiato niente. Perché, doveva cambiare qualcosa?”

Good Bye, Lenin! (2003)

Nell’estate del 1961 Billy Wilder e la sua troupe si trovavano a Berlino per girare il terzo atto del film One, Two, Three (Uno, Due e Tre) commedia tratta dall’opera teatrale di Ferenc Molnár e interpretata da James Cagney.

Il caso volle che nel bel mezzo delle riprese la DDR decidesse di tirare su il celebre Muro di Berlino.

Tre metri e mezzo di cemento armato che in teoria avrebbero dovuto bloccare il crescente flusso di cittadini dell’Est verso l’Ovest. Era il 13 agosto e da allora il muro sarebbe stato “perfezionato e rinforzato, trasformato in un sistema insormontabile di ostacoli, trappole, segnali elaborati, bunker, torri di guardia, tetraedri anticarro e armi a sparo automatico che uccidevano i fuggitivi senza bisogno di intervento da parte delle guardie di confine”.

E Billy Wilder? Il regista dovette far costruire la porta di Brandeburgo negli studi della Bavaria Film a Monaco, per la modica somma di 200 mila dollari. La sferzante commedia non ebbe il successo sperato. Il Berliner Zeitung commentò amaramente: “Quello che a noi spezza il cuore, per Billy Wilder è motivo di divertimento.”

Lo stesso regista anni dopo ammise: “nessuno aveva voglia di ridere mentre altri berlinesi rischiavano la vita saltando dalle finestre oltre il muro”.

Pochi mesi dopo la scrittrice tedesca Christa Wolf iniziò a scrivere il suo capolavoro Der geteilte Himmel (Il cielo diviso).

Storia d’amore tra Rita, una giovane donna che lavorava in una fabbrica della DDR e Manfred, un brillante chimico innamorato ma fermo nella decisione di andare ad Ovest. Il muro divise per sempre la coppia di innamorati e con loro, famiglie, amici, ideali e modi diversi di intendere la società. Nel 1964 a seguito del successo del libro, venne girato anche il film, diretto dal giovane Konrad Wolf. A causa di alcuni aspetti controversi, sia il regista che la scrittrice ebbero vita difficile nel  prosieguo delle loro carriere.

Nel 1965 è la volta del film di spionaggio La spia che venne dal freddo tratto dal libro omonimo di John le Carré interpretato da Richard Burton e Claire Bloom.

L’argomento piace e nel 1966 vengono girati Il sipario strappato e Funerale a Berlino. Il primo, diretto del maestro Alfred Hitchcock, era un vero e proprio “intrigo internazionale” interpretato da un giovane Paul Newman e da una meravigliosa Julie Andrews. La pellicola venne stroncata dalla critica per alcuni passaggi poco verosimili. La risposta di Hitch fu al solito ficcante: “chiedere a uno che racconta delle storie di tener conto della verosimiglianza mi sembra tanto ridicolo come chiedere a un pittore figurativo di rappresentare le cose con esattezza”.

Quindi il film inglese Funerale a Berlino, ancora una pellicola di spionaggio diretta da Guy Hamilton e interpretata da Michael Caine.

I rapporti tra il cinema e la cortina di ferro continuarono per circa un ventennio grazie a molti altri film di genere, fino agli anni ’80.

“In ogni caso non ci si può perdere, alla fine si arriva sempre al Muro” .

Il cielo sopra Berlino (1987)

Nel 1987 dopo aver girato quattro film in lingua inglese negli Stati Uniti, il regista Wim Wenders, esponente di primo piano del Nuovo cinema tedesco è in procinto di girare nella sua Germania il film Fino alla fine del mondo. Per ragioni produttive però, l’autore sa di dover attendere circa un anno per iniziare le riprese. Avendo una una società di produzione con dei dipendenti da pagare, Wenders decise di realizzare un lungometraggio in tedesco, estemporaneo ed economicamente poco impegnativo.

Senza una vera e propria sceneggiatura in mano, ma ispirato dalle poesie di Rainer Maria Rilke e alcuni dialoghi dello scrittore Peter Handke (fresco e discusso Premio Nobel per la letteratura 2019), il regista decise di girare Il cielo sopra Berlino. La storia di due angeli chiamati Damiel e Cassiel che vagano nella città come entità invisibili e impercettibili dalla popolazione, che osservano dall’alto, proprio da quel cielo diviso, di cui parlava Christa Wolf. L’ultimo luogo simbolico nel film è il muro di Berlino. Sono probabilmente le sue ultima celebri riprese cinematografiche, anche se come era accaduto nel 1961 a Wilder, anche Wenders dovette ricostruirne una sezione.

Due anni dopo, il 9 novembre del 1989 Günter Schabowski, Ministro della Propaganda della DDR, rilasciò la seguente dichiarazione:

“Per accontentare i nostri alleati, è stata presa la decisione di aprire i posti di blocco. (…) Se sono stato informato correttamente quest’ordine diventa efficace immediatamente.”

Il Muro è andato giù. Per alcuni era la fine di un incubo, per altri l’inizio di una nuova stagione forse socialmente ancor più contraddittoria.

Negli anni successivi vennero scritti e diretti alcuni meravigliosi film come Sonnenallee (1999) diretto da Leander Haußmann, tratto da un romanzo di Thomas Brussig, Am kürzeren Ende der Sonnenallee. Storia di vita di strada di un gruppo di adolescenti nella Germania dell’Est che ascoltano i Rolling Stones e lottano negli anni contro gli abusi della DDR.

L’anno dopo è la volta de ll silenzio dopo lo sparo (Die Stille nach dem Schuss) diretto da Volker Schlöndorff. Film più politico e che inizia a riflettere allegoricamente sulle conseguenze della caduta del muro, che lascerà sola e in balia degli eventi la terrorista Rita (Bibiana Beglau), guarda caso lo stesso nome della protagonista del libro di Christa Wolf.

Sono gli anni della Ostalgie, crasi tra le parole “Osten”, ossia “est”, e “Nostalgie”, “nostalgia”.

Termine (e successivamente  fenomeno di consumo) che ha portato alla risurrezione nostalgica la DDR. Un fenomeno psicologicamente affascinante e curioso, per certi versi una sorta di Sindrome di Stoccolma socioculturale. Anni a combattere contro un regime e un muro, per poi ritrovarsi a spendere soldi in supermercati  che vendevano prodotti di vecchie marche dell’Est come la Vita-Cola o

“Mocca-Fix?

Fuori commercio.
− Cracker Fillinchen?
− Non la vendiamo più quella roba.
− Cetrioli Spreewald?
− Ma dove diavolo vivi, sulle nuvole? Moneta nuova, vita nuova, non mi dire che hai ancora lo stomaco di mangiare quelle porcherie”

Citazione dal film  Good Bye, Lenin! (2003) che forse tra i tanti ha meglio riassunto questo strano sentimento tutto tedesco della Ostalgie.

Diretto da Wolfgang Becker il film narra la storia di Christiane, una tranquilla madre di famiglia sempre rimasta lontana dalla politica che si risveglia dopo otto mesi di coma. Nel frattempo però il Muro di Berlino è caduto e con lui 40 anni di storia e abitudini. Troppi cambiamenti e un possibile contraccolpo psicologico, ritenuto potenzialmente fatale dai medici. A questo punto entra in scena il premuroso figlio Alex deciso a fare in modo che, almeno in un’unica casa di Berlino, nulla cambierà, lasciando “il cielo ancora diviso”.

La pellicola ad oggi è considerata una dei maggiori successi di sempre del cinema tedesco con un incasso di oltre 41 milioni di dollari.

C’è tempo ancora per un capolavoro: Le vite degli altri (2006), diretto dall’esordiente Florian Henckel von Donnersmarck, vincitore del Premio Oscar per il miglior film straniero.

Ambientato nell’autunno del 1984, il film narra la storia del capitano della Stasi Gerd Wiesler, incaricato di spiare Georg Dreyman famoso intellettuale e scrittore teatrale e la sua musa, attrice e compagna di vita Christa-Maria Sieland. Spy-story psicologica e intimamente politica, la pellicola verrà ricordata per una solida sceneggiatura di stampo teatrale e per l’interpretazione di Ulrich Mühe scomparso pochi mesi dopo la fine delle riprese e che curiosamente era stato lui stesso spiato dalla Stasi con la complicità dell’allora moglie, la celebre attrice Jenny Gröllmann. Drammatica storia nella storia.

Di pellicole che hanno raccontato questi 40 anni di divisioni e contraddizioni e i 28 di muri fisici e ideologici, ce ne sarebbero ancora a centinaia. Il Muro (1990), Quella Trabant venuta dall’Est (1991), La promessa (1995), Hedwig (2002), l’italianissimo Il tunnel della libertà, (2006) fno al recente Il ponte delle spie (2015).

In un’epoca in cui di muri ce ne sono ancora, ci piace chiudere con una frase di Christa Wolf:

“Il passato non è morto; non è nemmeno passato. Ce ne stacchiamo e agiamo come se ci fosse estraneo”.