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Il mio Godard e il Maggio Francese

2011 con le sale piene di film in 3D, il regista francese Michel Hazanavicius realizza un piccolo gioiellino dal titolo The Artist, pellicola muta e con un rapporto di 1,33:1. Un’operazione nostalgica e soprattutto un omaggio sentito alla Old Hollywood.

L’eleganza e la delicatezza del prodotto non passano inosservate e la notte degli Oscar. Il film si aggiudica il premio come Miglior Film, Regia, Attore Protagonista, Costumi e Colonna Sonora.

Sei anni dopo Hazanavicius rende gloria ad un altro periodo storico, a Jean-Luc Godard e ad uno dei suoi film più rappresentativi “La Chinoise”.

Siamo a Parigi nel 1967, Godard è un giovane cineasta, l’emblema della Nouvelle Vague e di un cinema anarchico e ribelle. Al suo fianco la giovanissima Anne Wiazemsky, protagonista della nuova pellicola “La Cinese”. La coppia, fascinosa e fresca di matrimonio dovrà però affrontare le aspre critiche al nuovo film appena uscito in sala.

A dare il volto al maestro francese, l’attore Louis Garrel, che curiosamente aveva girato “The Dreamers” di Bertolucci, pellicola non del tutto fuori tema rispetto al film di Hazanavicius. Nei panni della conturbante Wiazemsky, invece, la giovane Stacy Martin, passata, dopo la sua realistica fellatio di Nymphomaniac di Von Trier, per le mani di autori come Matteo Garrone e Ben Wheatley.

Sacrificata, in una parte quasi anonima, invece, Bérénice Bejo, moglie e musa di Hazanavicius.

L’autore di The Artist, che curiosamente è nato lo stesso anno in cui Godard ha girato “La Chinoise”, rispolvera il fortunato espediente della sua opera più celebre, realizzando un film nel film. Un’operazione filologica che gioca con la pellicola iconica di Godard, rendendola protagonista della narrazione e al contempo citandola metacinematograficamente. Il regista usa stilemi, tecniche e vezzi stilistici di Godard per parlare con lo spettatore, per divertirlo e solleticarlo. Alla fine però, rimane ben poco. Hazanavicius scomoda inutilmente tutta un’intera generazione di intellettuali per raccontare la sua personale storia, quella della coppia Godard/Wiazemsky. Fino ad un certo punto comunque il regista ci riesce pure. Poi però il film inizia inesorabilmente a peccare, mai in forma, quanto in contenuti.

E che contenuti. Maoismo, il Maggio Francese, “Il est interdit d’interdire”, Bertolucci e Ferreri, Il seme dell’Uomo, la storica 21ma edizione del Festical di Cannes, Henri Langlois e la Cinematheque Francaise, Les Cahiers du cinéma, il Gruppo Dziga Vertov e chi ne ha, più ne metta.

Tutto per realizzare un modesto pamphlet borghese per compagni nostalgici o cinefili con lenti polarizzate d’antan.

Non brutto, “solo” inutile.

Recensione a cura di Giuseppe Silipo