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Ho affittato un killer – La Londra di Kaurismäki

“Mi sembra che i registi britannici non riescano più a fare delle commedie inglesi vecchio stile. Così devo andarci io a farne una…”.

Londra. Anni ’80.

Henri Boulanger, immigrato francese è un pubblico dipendente della società Waterworks, un Josef K., qualunque, che dopo 15 anni di onorato servizio, viene licenziato senza giusta causa. Per lui una pacca sulla spalla ed un orologio finto oro per di più non funzionante. Solo al mondo e senza più un lavoro, Henri, decide di farla finita. I suo goffi tentativi di suicidio però non vanno a buon fine. Certo di non riuscire più a trovare una ragione per cui vivere, l’uomo decide di “affittare un killer” a pagamento in una bettola della periferia londinese. Paga e torna a casa in attesa della sua esecuzione. Quella stessa sera però Henri, nel pub sotto casa, conosce la bella fioraia Margaret. I due si innamorano e cercheranno in tutte le maniere di fermare il killer, ormai deciso di assolvere la sua missione.

Il primo film del regista finlandese Aki Kaurismäki, fuori dai suoi confini nazionali, allarga orizzonti geografici e culturali, pur mantenendo la sua inconfondibile firma stilistica. I personaggi sono sempre gli stessi, uomini e donne ai margini della società, apparentemente anaffettivi, abbandonati dal prossimo e/o vittime del sistema. I non luoghi del regista finnico sono uguali, che sia Londra o Helsinki, cambia poco. Realtà paradossali e teatri dove “pupi siciliani” si muovono come fossero afflitte anime in stop motion.

Nella Londra soffocata dalla drastica cura thatcheriana, l’autore ne condanna le contraddizioni socio economiche partendo da presupposti stilistici agli antipodi del realismo loachiano. Kaurismäki, nello specifico, confeziona una deliziosa ed essenziale fiaba noir d’altri tempi. Lui stesso ha voluto dichiaratamente rendere omaggio alle black comedy degli Ealing Studios britannici. Misurate e silenziose perle da troppo tempo rapite dalle maree milionarie hollywoodiane. L’autore in particolare si rifà al film del 1950, Last Holiday con un indimenticabile Alec Guinness, che, guarda caso, avrebbe dovuto essere il protagonista della pellicola di Kaurismäki . Jean-Pierre Léaud, attore di spicco della Nouvelle Vague e primo protagonista non finlandese in un film del regista, non fa però rimpiangere il camaleontico attore britannico, dando vita, con una perfetta mimica, ad un esemplare stralunato eroe kaurismakiano.

L’ironia nera del regista è al massimo del suo splendore, amaro, comico e perennemente senza speranza. Il risultato è un piccolo capolavoro di stile, irriverente “pastiche” che si prende gioco della politique des auteurs dei suoi stessi eroi come François Truffaut, Jean-Luc Godard, Jacques Rivette e Eric Rohmer.

 

Per capire il senso della pellicola e forse di tutti i film di Kaurismaki, tocca affidarsi proprio ad una sua intervista: “Penso che nel momento in cui non avremo più speranze, non avremo neanche più motivo di essere pessimisti, perché il peggio sarà già arrivato”

Ho affittato un killer ha inoltre il merito di consacrare l’autore oltre i confini del suo paese natio, introducendolo al suo decennio migliore, grazie a pellicole come La vie de bohème (1992) e Nuvole in viaggio (Kauas pilvet karkaavat) (1996).

Due curiosità: Kaurismäki appare in un cameo come venditore di occhiali e Joe Strummer, leader dei Clash, suona in una bettola per pochi intimi una meravigliosa Burning Light, con chitarra elettrica e percussioni.

Forse l’apice nella cinematografia di uno dei registi europei più sottovalutati degli ultimi 30 anni.