Home recensioni avventura Hellboy (2019) – La Recensione

Hellboy (2019) – La Recensione

Anung Un Rama, è un demone infernale evocato dai nazisti nel 1944, quando le sorti del regime erano ormai segnate. L’ultima speranza per Hitler di vincere il conflitto. Lo strano demone in realtà è un buffo pargolo e viene sottratto alle mani dei cattivi dal professor Trevor Bruttenholm, che lo battezza col nome con il quale oggi lo conosciamo tutti: Hellboy.

Metà creatura degli inferi e metà umano, questo ragazzotto tutto muscoli e ironia, nel corso degli anni è diventato uno dei migliori e più spietati elementi di un’organizzazione segreta statunitense dal nome Bureau for Paranormal Research and Defense. Un società semi-segreta il cui scopo è tenere a bada i cattivoni dagli umani.

La creatura nata dalla penna di Mike Mignola nel 1993 per l’etichetta Legend della casa editrice Dark Horse, è stato uno dei fumetti più amati dalla Generazione X, forse proprio per quella sua dose di nichilismo e misantropia. Circa dieci anni dopo la sua creazione Hellboy divenne un film, grazie all’opera visionaria di Guillermo del Toro, da poco reduce di un altro sparatutto come Blade II. La pellicola e il personaggio, interpretato da un meraviglioso e granitico Ron Perlman, conquistarono il pubblico, diventando nel giro di pochi anni un amatissimo cult.

L’idea di ripartire da zero, cambiando cast e crew, dando vita ad un reboot della serie, non è passata inosservata. Soprattutto ha fatto storcere il naso ai fan e allo stesso Ron che si è mostrato scettico ed amareggiato per non aver concluso il percorso iniziato con del Toro.

Alla luce di ciò, analizzare questo nuovo Hellboy targato Neil Marshall non può prescindere da un’analisi comparata col suo precedente. Il film del 2004 era una pellicola più raffinata, elegante e figlia degli anni ’90, soprattutto come imprinting estetico. Marshall stravolge il tutto attingendo dal fumetto quanto a colori e saturazione. Il regista inoltre inzuppa la pellicola di una violenza esagerata e granguignolesca. La sceneggiatura purtroppo è una totale delusione, molto flat e priva di strutture coesive. Alcune scelte narrative ed estetiche, poi, sono involontariamente comiche. Si salvano alcune battute, come ad esempio quando la Regina di Sangue dice: “Sii il mio re! Siamo fatti per stare insieme!” Ed Hellboy risponde: “È vero, però non funzionerà, perché io sono un Capricorno e tu sei matta!”.

Ciò che paradossalmente funziona di più (e questo è un paradosso) è proprio il cast. In primis David Harbour, che avevamo ammirato in Stranger Things, nel ruolo del capo della polizia Jim Hopper. Se la cavano molto bene anche Daniel Dae Kim (indimenticabile in Lost) e l’eterna e demoniaca bellezza di Milla Jovovich. Infine la giovane promessa texana Sasha Lane già ammirata in American Honey e La diseducazione di Cameron Post.

Milla Jovovich

Anche se ben recitato però, questo nuovo Hellboy resta un giocattolone. Goffo e violento, molto videoludico. il film è più  adattato ai nuovo preoccupanti gusti estetici delle nuovissime generazioni. Brufolosi iGen più attenti alle volteggianti teste mozzate che alle personalità tormentate e conflittuali di supereroi e company.

Insomma come direbbe Shakespeare “Much Ado About Nothing”, perchè di questo nuovo Hellboy non se ne sentiva la necessità.