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Happiness – La felicità disturbante di Todd Solondz

“Happiness, where are you? I’ve searched so long for you. Happiness, what are you? I haven’t got a clue. Happiness, why do you have to stay so far away… from me?”

Sulle parole di questa canzone cala il sipario su “Happiness” terzo disturbante ed iconico film di Todd Solondz, Sul pezzo ci ritorneremo, ma adesso contestualizziamo questa pellicola. E’ il 1998, Solondz ha 39 anni, viene da una terribile esperienza con la sua opera prima “Fear, Anxiety and Depression”(un titolo, un programma) a cui è stato negato il final cut del regista. Solondz alla fine sarà costretto a disconoscerlo ufficialmente dalla sua filmografia. Quindi una brillante prova molto apprezzata al Sundance, l’underrated “Welcome to the Dollhouse”, orridamente distribuito in Italia col titolo “Fuga dalla scuola media” con una giovanissima Heather Matarazzo. Il suo nuovo script però è un’altra cosa. Scomodo per le produzioni, psicologicamente violento per il pubblico e non idoneo alla maggior parte degli attori che vengono coinvolti nel progetto, preoccupati per la loro immagine e per le ritorsioni delle major.

“I miei film non sono per tutti. In particolare, non sono per quella gente a cui piacciono”.

 

La trama sembra attingere agli stilemi e alla coralità altmaniani, proprio negli anni in cui muoveva i primi passi uno dei suoi più noti proseliti P.T.Anderson. Solondz però risente molto dell’altra faccia americana ritratta dalla Teenage Apocalypse Trilogy di Araki. Botta e risposta che continuerà qualche anno dopo quando il regista della doom generation realizzerà Mysterious Skin.,

Ma in Happiness c’è anche tanto dello scoperchiamento dei valori borghesi statunitensi di alcune pellicole lynchiane. Come lui e insieme a lui Harmorine Korine e Alexander Payne. Insomma è un periodo florido per il cinema indipendente USA.

Ma veniamo al film. Happiness narra la storia di diversi personaggi, tutti collegati tra di loro. Ci sono Mona (Louise Lasser)e Lenny (Ben Gazzara) che si stanno separando dopo 40 anni di matrimonio. Le loro figlie: Joy (Jane Adams) trentenne che lavora in un call center e ha incontri sessuali e/o sentimentali bizzarri. Helen (Lara Flynn Boyle), bellissima e in cerca di emozioni forti per scrivere le suo opere letterarie. Poi c’è Allen (Philip Seymour Hoffman) il vicino di casa di Helen, ossessionato dalla donna al punto da indurre (lui si) in continue pratiche autoerotiche mentre la chiama in incognito. La terza delle sorelle Trish (Cynthia Stevenson)quella apparentemente più normale. Ma qui si apre un pertugio narrativo grande come il Grand Canyon dove si dirama la storia di suo marito Bill (Dylan Baker) e delle sue pulsioni pedofile e l’inquietante rapporto col il figlio maggiore Timmy, disperato perchè non riesce ancora a masturbarsi come i suoi compagni di classe. Bill abuserà di un paio di ragazzini e quando verrà messo spalle al muro sarà costretto a confessare il tutto al figlioletto. Uno dei dialoghi più agghiaccianti mai ascoltati sul grande schermo. Scambio di battute censuratissimo nel doppiaggio italiano che ha steso un velo sulla domanda del piccolo Timmy al padre: “l’avresti fatto anche con me?” Bill risponde “No mi farei uccidere piuttosto”. In originale il padre con le lacrime agli occhi risponde “No. I’d jerk off instead.”.

Cinema agghiacciante e a suo modo sublime.

134 minuti strazianti, dolorosi a loro modo divertenti nel modo in cui riescono a far sembrare normale l’anormale. Ma soprattutto 134 minuti nei quali Solondz riesce con una miracolosa quanto unica (nella storia del cinema) parabola, a passare dalla rabbiosa repulsione per la sessualità malata (o al limite della malattia) ad una finale empatia dello spettatore con i personaggi.

Ma non c’è pietas cristiana bensì una profonda e desolante tristezza nell’avvicinarsi a questi individui che altro non voglio che felicità. Costi quel che costi. Qui si riallaccia la canzone finale di Michael Stipe e Rain Phoenix (sorella di River e Joaquim) che appunto si domanda, tra armonizzazioni e sonorità molto eightees, perché la felicità debba essere così lontano da noi. Timmy alla fine riuscirà a masturbarsi in un finale catartico ed esilarante. Nel 2009 il regista realizzerà “Life During Wartime” il seguito del film con attori diversi, tradotto col titolo Perdona e Dimentica (vedi Niccolò Contessa de I Cani).

Sono passati 20 anni da Happiness e la felicità non si perdona, né si dimentica.