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Hannibal: 20 anni del film “per tutti” che scandalizzò l’Italia diventando un caso politico

Il 9 febbraio del 2001 arrivava in Italia Hannibal di Ridley Scott.
Il seguito de Il silenzio degli innocenti non ne condivide la forza né la raffinatezza, ma ha avuto la stessa (se non maggiore) capacità di fare parlare di sé.

Il seguito delle gesta di Hannibal Lecter (un Anthony Hopkins più divertito che concentrato) e di Clarice Starling (interpretata questa volta da Julianne Moore) si concentra sulla carne e sul male.
C’è la deformazione di Mason Verger, sfigurato dopo un incontro con il terribile psicologo, c’è l’avidità e c’è il cannibalismo sotto ogni sua forma.
Il film cerca di scandalizzare in ogni modo.
A volte lo fa goffamente, con montaggi flash dei delitti e musica concitata -quanto è invecchiato male questo stile anni ’90.
Altre volte ci riesce in pieno con il gusto del macabro: un personaggio impiccato dal balcone di Palazzo Vecchio di Firenze con un taglio nella pancia che fa cadere le budella sulla folla.
C’è la malavita sarda, specializzata nei sequestri di persona e nell’occultamento di cadavere, che dà i corpi in pasto ai cinghiali. E, soprattutto, c’è la cena a base di cervello. 

Paul Krendler, il personaggio interpretato da Ray Liotta, viene catturato dal sadico cannibale.
Clarice è drogata e costretta ad assistere ad un lungo dialogo con lui.
Nel mezzo dell’azione Lecter si avvicina all’uomo, visibilmente drogato, e gli apre il cranio come una scatoletta di tonno, gli taglia pezzi di cervello e li serve al malcapitato imboccandolo. 

Negli U.S.A il film venne vietato ai minori di 17 anni, in Italia ottenne il visto censura: per tutti.
Di fatto nel 2001 i bambini potevano andare in sala e godersi la visione di Harry Potter e la pietra filosofaleLa città incantataShrekMonsters & Co. e… Hannibal.

Come prevedibile, da più parti ci fu una mobilitazione violentissima contro il film.
La Commissione Nazionale Valutazione Film della CEI, vietò il passaggio del film nelle sale cattoliche, e invitò a prestare attenzione da parte di educatori e famiglie sia per l’uscita in videocassetta sia in occasione di qualche passaggio televisivo.

Meno prevedibile fu la rabbia della politica, che ne fece un vero e proprio caso nazionale.
I senatori di Alleanza Nazionale e i Democratici chiesero in sinergia alla Commissione di revisione cinematografica del ministero dei Beni culturali di rivedere il divieto.
Repubblica riporta le dichiarazioni del senatore Michele Bonatesta:

Una pellicola a cavallo tra l’horror e lo splatter come ‘Hannibal’ può essere vista da un bambino, quando in America è stata vietata ai minori di 17 anni se non accompagnati dai genitori.
Le famiglie italiane ringrazino il ministro Melandri (all’epoca Ministro per i beni e le attività culturali n.d.r)“.

Queste posizioni si facevano forza del chiacchiericcio che aveva circondato il film durante le proiezioni americane, con Muhammad Ali che aveva detto di “avere avuto paura, specialmente nella scena del cervello”.
In Australia il divieto ai minori di 15 anni aveva destato lo scandalo del critico del Sydney Morning Herald Lynden Barber, il quale chiese che fosse vietato ai minori di 18 anni.
È la prima volta nella mia carriera come giornalista cinematografico che sono stato incapace di digerire un film disse.

Ma fu proprio in Italia, dove gran parte del film è ambientato, che la polemica fece più parlare.
Il nostro paese era infatti un’immagine chiave per la promozione del film.
La sua vicinanza con il Vaticano si riflette anche nei temi trattati da Hannibal: la morte, il peccato, la redenzione, il tutto infarcito di pieno simbolismo dantesco (il conte Ugolino, Pier della Vigna o il sonetto A ciascun’alma Presa della Vita Nuova).
Inoltre pare che Thomas Harris, autore del libro, presenziò al processo di Pietro Pacciani, il mostro di Firenze, proprio per trovare ispirazione.

Un’occasione troppo ghiotta per la promozione del film che, cosciente di essere assai meno riuscito de Il silenzio degli innocenti, giocò tutte le sue carte sullo scandalo.

Ecco allora che, come riportato dalla CNN, alla premiere tedesca Hopkins si scagliò contro le ipotesi di censura in Italia (senza però distinguere il concetto di taglio da quello di divieto).

Le sue dichiarazioni sono uno spasso:

È un’ipocrisia, la censura è tirannia. Nessuno è costretto a vedere Hannibal.
La censura rovinerà il film e lo distruggerà.
In Italia molte persone già vanno dal loro psichiatra anche senza avere visto il film!

E ancora:

Il problema lo devono affrontare non i censori ma i genitori. Se madri e padri non sanno controllare i figli, non è colpa mia

In pieno slancio emotivo ha sottolineato poi come il peggior peccato sia la repressione dei lati oscuri della psiche.
Accusò inoltre il politicamente corretto di avere ucciso la società facendo tenere la bocca chiusa come in uno stato sovietico.
Ha poi difeso il film spiegando che già a partire dalle tragedie inglesi al tempo di Shakespeare c’era molta violenza e sangue. Ma, nonostante il nobile intento, la stampa non riuscì a fare a meno di riportare la notizia delle quattro donne svenute e portate via con l’ambulanza nel primo giorno di proiezioni.

Un capolavoro del marketing che ripagò appieno, facendogli superare l’incasso de Il silenzio degli innocenti. 

Alla fine fu il distributore stesso, Aurelio De Laurentiis, ad annunciare l’autocensura; ovvero l’invito a distributori ed esercenti a non fare entrare in sala i minori di 14 anni.
Nessun divieto ufficiale però, solo tanta curiosità verso un film maledetto.

Il rapporto tra Hannibal e l’Italia è stato questo: una storia più interessante del film stesso e che, forse, ne ha proprio decretato il successo. 

Se ne poteva intravvedere il prologo grazie a un altro caso di cronaca bizzarro avvenuto durante le riprese, mesi prima dell’uscita in sala.
Mentre le maestranze allestivano il set di Cinecittà la polizia fece irruzione in una tipografia e sequestrò tutti i materiali in essa contenuti con l’accusa di falso.
Erano tesserini, pass, riproduzioni delle fotosegnalazioni della polizia scientifica, carte intestate e altri materiali simili. Ovviamente si trattavano di semplici oggetti di scena del film. Vennero però scambiati come autentici, passati negli uffici della polizia di Roma, e infine restituiti alla produzione con tante scuse.