Home recensioni drammatico Hannah di Andrea Pallaoro – La recensione in anteprima

Hannah di Andrea Pallaoro – La recensione in anteprima

Non parleremo di trama, in questa recensione; non parleremo di contenuto. Perché Hannah di Andrea Pallaoro (leggasi Pallàoro, non Pallaòro) non ha trama, non ha contenuto. Perché Hannah di Andrea Pallaoro ha anima, un’anima pulsante e potente che, nel bene o nel male, non lascia indifferente lo spettatore. Si tratta di un’opera profondamente ed orgogliosamente anticommerciale, uno di quei film da guardare in religioso silenzio per lasciarsi trasportare nella vita del personaggio di Charlotte Rampling (vincitrice della Coppa Volpi al festival di Venezia proprio grazie a questo ruolo).

All’anteprima di Milano, è stato detto che i protagonisti del film siano due: Hannah e, secondo chi scrive, lo spettatore. Diveniamo infatti tutt’uno con la vita in disfacimento della protagonista, la accompagniamo nel suo quotidiano agire, siamo quella spalla amica a cui ognuno dovrebbe potersi appoggiare per piangere nel momento di una crisi. Tutto ciò è reso possibile dallo stile asciutto e crudo, dalla totale assenza di qualsivoglia suono o musica extradiegetica, dalla costante ossessione per il viso ed il corpo della Rampling, un modo di fare cinema che ha fatto storcere il naso a molti, che lo hanno definito come supponente ed altezzoso, financo finto-intellettualoide. Ed è vero, si tratta di un film che si compiace e che si prende sul serio, però ha tutti i motivi per farlo. La non-storia che viene non-narrata poteva essere messa in scena solo in questo modo, svuotando il film di ogni orpello spettacolare e cinematografico per porre lo spettatore dinnanzi ad una rappresentazione scarna, in modo da non farlo distrarre da tutto ciò che Hannah non potrebbe sentire o vedere. La parola non appartiene a quest’opera, che si concentra molto su stimoli sensoriali, grazie anche ad un fenomenale lavoro di sound design, e che si compone di gesti e silenzi, solo raramente interrotti da qualche linea di dialogo scarna e superficiale. Ma non è forse la vita stessa scarna e superficiale?

Hannah è un film profondamente debitore al cinema d’autore classico, nonché a quello anticommerciale contemporaneo: le ispirazioni di Pallaoro, ammesse dallo stesso regista all’anteprima, sono assai varie e comprendono Antonioni, Béla Tarr e Tsai Ming-liang. Moltissimi sono i richiami cinematografici colti che si nascondono sotto la superficie del film: dalla banale ed antispettacolare Jeanne Dielman, 23, quai du commerce, 1080 Bruxelles di Chantal Akerman allo sguardo curioso e spaventato di Janosz davanti alla balena (ripreso in una scena molto simile, sempre con un cetaceo, del film protagonista di questa recensione) de Le armonie di Werckmeister di Béla Tarr. Hannah è un film che vive e respira cinema, un’opera che non avrà sicuramente un gran successo presso il grande pubblico, perché non è un film destinato ad esso. Però, senza alcun dubbio, Hannah resterà ben impresso nelle pagine della storia del cinema italiano (si tratta di una produzione italo-belga) contemporaneo.