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FIGLI DI MAAM di Paolo Consorti

Un clochard spunta dal nulla con una grossa croce di legno in mano e asserisce di essere nientepopodimeno che San Giovanni Battista. Trova l’ascolto e l’ospitalità della comunità di Metropoliz, a Roma (realmente esistente), una vasta ex fabbrica occupata da extracomunitari e precari…

Il marchigiano Paolo Consorti, prima di dirigere nel 2014 “Figli di Maam”, aveva maturato la sua esperienza d’artista in più campi: nella pittura, nella video-arte e nei docu-film. “Figli di Maam” non è però il suo esordio nel lungometraggio: nel 2013 aveva firmato la regia de “Il sole dei cattivi”, con Luca Lionello (nei panni di Erode), Nichi Vendola ed Elio delle “Storie tese”. Luca Lionello (figlio del celebre attore e doppiatore Oreste Lionello) torna ad essere il protagonista anche del secondo film di Consorti, questa volta interpretando San Giovanni Battista (ma sarà davvero lui?). L’interpretazione dell’attore romano però non è delle migliori: è poco incisivo ed empatico, quasi fuori parte.

In genere, tutti gli attori professionisti del cast (e che attori! In alcune particine ci sono anche Franco Nero, Alessandro Haber, Federico Rosati e Roberta Scardola) sembrano impacciati, spaesati. Molto meglio la recitazione “naturale” degli abitanti di Metropoliz, soprattutto dei bambini. Ne “I figli di Maam”, nei panni di se stesso, c’è una guest star del mondo dell’arte, il pittore e scultore Michelangelo Olivero Pistoletto. La pellicola di Consorti si può dividere essenzialmente in due distinti tronconi. Il primo, nel quale Luca Lionello parla e vive con gli abitanti di Metropoliz, il secondo nel quale Luca Lionello, insieme ad un gruppo di bambini, girovaga per il Museo di Maam, durante una reale collettiva. Alla quale, tra l’altro, il regista ha davvero partecipato.

La prima parte riprende la poetica del realismo magico tipica del collettivo romano Amanda Flor. I dialoghi però sono troppi, e troppo ridondanti. L’atmosfera è quella della “lezioncina filosofico-religiosa”, a volte troppo stucchevole e immotivata. La seconda parte invece è di ben altro spessore. E con essa finalmente il film prende il volo. Il protagonista, in compagnia dei “suoi” bambini, interagisce in modi diversi, per tutta la notte, con le splendide installazioni e performance artistiche presenti all’interno del Museo.

Essi stessi, nel loro girovagare da una stanza all’altra, da una situazione all’altra, diventano performance d’arte. La macchina da presa di Consorti si muove sinuosa e leggera tra le luci, le ombre, gli angoli e le persone del Museo, ricreando una magia misteriosa, incalzante, a tratti angosciosa, a tratti suadente, e trascina felicemente dentro questa magia cinematografica sia lo spettatore che lo stralunato protagonista. Un film diseguale, un po’ troppo retorico e didascalico, ma assolutamente fuori dagli schemi e incontenibile nella sua bizzarra follia. Quasi un unicum nel panorama italiano. Da vedere a tutti i costi.